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Il covid-19 ha messo in allarme tutta Italia, mobilitando Governo, Regioni, scuole e università. Ci siamo ritrovati, nel giro di pochissimi giorni, dal parlare dell’emergenza in Cina, ad affrontare quella in Italia. Un’intera area della Lombardia, la cosiddetta zona rossa (il Lodigiano), è stata completamente isolata, come nel Veneto, la zona di Vo. Nonostante il divieto di uscire da tali aeree, molti hanno contravvenuto all’obbligo, spostandosi in tutta Italia e continuando il contagio. L’esodo da nord a sud c’è stato, non solo da parte di coloro i quali provenivano dalla zona rossa. In via precauzionale, c’è stato chi ha deciso di rientrare per evitare di affrontare da solo l’evenienza di una situazione difficilmente gestibile.

È il caso di G., giovane cosentino che lavora a Pavia. «Le motivazioni che mi hanno spinto a scendere» spiega «sono state dettate dal fatto che ero completamente solo, anche senza la macchina, per cui, prima che la situazione peggiorasse, ho deciso di rientrare. Anche fare la spesa stava diventando molto difficile» specifica il giovane «Io lavoro a scuola, e gli istituti scolastici sono stati subito chiusi. Ero consapevole che ritornando non sarei potuto andare in giro liberamente, perché la situazione era ed è incognita. Già in viaggio – continua a raccontare – ho iniziato a contattare tutti i numeri che la Regione aveva segnalato, ma nessuno mi ha mai risposto. Ho fatto un centinaio di tentativi, ma era sempre occupato o staccato. Allora ho chiamato il medico di base che mi ha fatto delle domande – se avessi sintomi, se avessi avuto contatti con la zona rossa – e, dal momento che non avevo alcun sintomo, mi ha assicurato che non c’era neanche bisogno di mettermi in quarantena. Qualora fossi stato male, avrei dovuto richiamare e fare altri accertamenti. Per ulteriore scrupolo, ho anche chiamato il 112, in realtà sbagliando, perché non sapevo fosse il numero di emergenza. Le domande sono state le stesse del mio medico di base. Mi hanno anche passato il 118, che dopo avermi fatto le stesse domande, mi ha detto che non rientravo nel protocollo, poiché Pavia è fuori la zona rossa. Se nei giorni successivi avessi presentato sintomi, avrei dovuto chiamarli. Ho chiesto se avessi dovuto fare dei controlli, per una questione di sicurezza mia e dei miei familiari, ma mi è stato detto di no«, conclude G. «Però, da quando sono arrivato, sto usando tutte le precauzioni possibili, evitando completamente il contatto con i miei genitori. So anche di altre persone che sono scese dalla Lombardia come me che non hanno le stesse accortezze, io sarò maniacale in questo, ma voglio evitare qualsiasi problema a me e agli altri» conclude G., con una punta di amarezza.

Il secondo caso, simile ma diverso da quello di G., è quello di M., rientrata da Padova dopo un periodo trascorso lì per motivi familiari. «In quei giorni mi trovavo in un paese a tredici chilometri dalla zona rossa veneta. Non eravamo molto coscienti della situazione, perché è tutto peggiorato nel giro di pochissimo». Precisa M. «Mi sono affrettata a rientrare a Cosenza, ma devo dire che alla stazione di Padova non c’è stato controllo, oltre che pochissima gente che circolava. Ho fatto scalo a Roma, in cui la situazione era completamente diversa: la stazione era completamente invasa, sono stata con la sciarpa intorno al viso per evitare qualsiasi rischio. Non avevo una mascherina, terminate ovunque. Una vera follia – continua M. – Mio marito è venuto a prendermi a Paola con mascherine e guanti, e, da quel momento, ho chiamato una miriade di volte il 1500, il numero di emergenza, e un altro paio di numeri, Asp di Cosenza e Pugliese di Catanzaro. Non sono ovviamente riuscita a contattare nessuno, provando anche fino a tarda notte. Allora chiamo il medico di base, che mi fa le domande di rito, però, nonostante non presentassi sintomi, mi ha detto che sarebbe stato opportuno prendere delle precauzioni, perché ero troppo vicina a Vo. Mi è stato fatto il certificato di quarantena volontaria e, il medico dell’ufficio ha confermato il tutto, aggiungendo che al mio ritorno a lavoro avrei dovuto fare un’ulteriore visita».

I due casi testimoniano una gestione dell’emergenza molto spesso approssimativa, nonostante i tentativi corretti e scrupolosi. Negli ospedali, però, l’allestimento di unità di crisi, manifesta una gestione meticolosa e attenta dell’emergenza. Ma il punto è che chiunque decida di spostarsi in questo momento, dovrebbe farlo assennatamente, ma il continuo aumentare dei contagi, conferma che così non è stato. Anzi, molti, in maniera semplicistica e superficiale, hanno bypassato il protocollo, muovendosi in completa libertà. E incoscienza. Non c’è un limite alla paura, e quel limite non sta neanche nel rispetto della norma e, soprattutto, nel rispetto dell’altro.


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