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Anna Castriota

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L’allarme per il contagio mondiale da Covid-19, lascia intravedere scenari non meno inquietanti e ansiogeni dal punto di vista politico, economico, relazionale: misure coercitive di distanziamento, progressiva restrizione delle libertà individuali, media e social che diventano un sudario di sventure, bollettini di malati e morti come se fossimo in guerra, fosche prospettive di perdita di posti di lavoro e di recessione.

Sembriamo piombati all’improvviso in una distopia alla Orwell o alla Bradbury, con ogni piccolo passo della nostra vita quotidiana, dei nostri equilibri comportamentali, delle nostre mobilità controllato e sacrificato in nome di una inaggirabile “salute pubblica”.

Professoressa Anna Castriota, lei è di origine foggiana ma insegna da tantissimi anni Politics and Terrorism al Saint Clare’s College dell’Università di Oxford, ed è ricercatrice al dipartimento di Storia dell’Università di Northampton: con l’infezione da Coronavirus stiamo vivendo un vero incubo che sgretola antiche certezze.

«La questione del Coronavirus fornisce nuovi spunti di riflessione, soprattutto di tipo politico. Cosa ne sarà del modello di global governance che sembra ormai dominare da decenni lo scenario politico? Oppure, dopo il primo periodo di sbandamento, si tornerà alle vecchie abitudini? Dal punto di vista politico, quello che osservo con non poca apprensione è un lento ma inesorabile demandare all’autorità decisioni vitali che in realtà toccano da vicino l’esistenza del singolo e della comunità. Leggevo su La Repubblica che il premier Conte ha superato il 51% di popolarità. Abbiamo bisogno di un ‘uomo forte’ che mostri i muscoli del potere con decreti, polizia e militari per le strade a controllare i nostri spostamenti, e ci sentiamo soddisfatti di questa lenta ma inesorabile erosione dei più elementari diritti costituzionali di cui godiamo in un paese democratico? Aveva forse ragione Thomas Hobbes? Cambierà il modo in cui ci rapporteremo alla politica, ai politici e alla democrazia?, oppure la democrazia come l’abbiamo sempre intesa, verrà ridimensionata purché si stia bene, purché il nostro piccolo orticello venga salvaguardato? Siamo allora pronti a rinunciare ad alcune libertà personali che fino a ieri erano considerate sacre? Siamo pronti ad un cosiddetto nanny State che si prende cura di noi in ogni aspetto della nostra vita?»

Sicuramente c’è una nuova codificazione della nostra vita, all’improvviso e velocemente centralizzata e compattata, in Italia e non solo…

«Da molte parti leggo che stiamo vivendo un’esperienza di trasformazione come lo può essere una guerra che tutto distrugge, tutto mette in discussione e dopo la quale nulla è più come prima. Osservo come l’Italia e i diversi paesi in cui l’epidemia si è manifestata stiano reagendo all’emergenza. E prendo il Regno Unito, mio paese d’adozione, per fare un raffronto. In entrambi i casi, i due governi hanno agito in maniera autoritaria seppure con differenze. Il dimostrare di saper prendere in mano le redini della situazione è evidente sia nella leadership di Conte che in quella di Johnson al quale credo piaccia l’accostamento con Churchill nella darkest hour che il Paese si trova a vivere da generazioni. Ma nel Regno ci sono stati segni contrastanti di una tale svolta autoritaria. Vorrei ricordare a tutti che il governo Johnson è quello di Brexit, quello con forti spinte sovraniste ma che si è mosso con ritardo sui tempi di contenimento dell’epidemia, parlando forse a sproposito di ‘immunità di gregge’, e facendo un clamoroso dietro-front nelle misure da adottare per contenere il contagio, di fatto poi copiando il modello draconiano italiano, a sua volta copiato da quello cinese».

Un rigurgito di autoritarismo che però ha trovato tutti d’accordo per una sorta di patriottismo sanitario…

«Quello che impressiona è come facilmente e velocemente il ‘gregge’ (noi) si sia adattato senza fiatare, anzi richiedendo a gran voce l’intervento forte e coercitivo dell’autorità nel ridurre le libertà personali, e come di buon grado abbiamo obbedito in Italia come nel Regno Unito. Il termine inglese ‘lockdown’, divenuto popolare a livello globale, significa nel senso letterale del termine, ‘chiusura totale’. Ma ho visto che abbiamo presto accettato di buon grado la ‘chiusura totale’ imposta per la nostra stessa salvezza. Probabilmente in nessuno dei due casi si finirà in un regime autoritario, ma genera una certa apprensione il vedere come anche nella più datata tradizione democratica occidentale, il Regno Unito appunto, ci si sia così facilmente affidati e adattati alle nuove norme restrittive. Interessante notare come le democrazie occidentali, in diversa misura, abbiano adottato di buon grado il ‘metodo cinese’ per combattere il contagio…».

Il futuro che si intravede è pericolante da un punto di vista monetario e occupazionale…

«Non entro nel merito dell’aspetto economico, ma credo che anche l’economia cambierà forma, e di sicuro vedrà un vincitore: la Cina. Probabilmente stiamo tutti vivendo un cambiamento epocale di cui capiremo appieno il significato solo in un futuro ancora remoto. Sono ancora molto confusa e aspetto di vedere l’evolversi – o involversi – della situazione; per il resto, mi godo anch’io la mia reclusione dorata chiedendomi quando finirà e, soprattutto, se mi dispiacerà una volta finita, tornare ad essere padrona e responsabile della mia esistenza».


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