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Corrado Ferlaino e Diego Armando Maradona

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«DICO sempre che il primo scudetto l’ha voluto Dio, mentre l’ultimo l’abbiamo voluto noi». Per Corrado Ferlaino (88) la seconda volta non si scorda mai. Quella che si materializzò alle 17 e 47 del 29 aprile 1990. Fu l’apice del Napoli costruito attorno alla leggenda di Diego Armando Maradona, capace di conquistare, oltre ai due tricolori, una Coppa Uefa, una Coppa Italiana e una Supercoppa di lega. Una lunga stagione di successi che ha rappresentato il riscatto di un’antica capitale relegata al ruolo di periferia estrema. Programmazione e lavoro furono gli strumenti per arrivarci; Ferlaino, del resto, non aveva altre armi per sfidare club infinitamente più ricchi del suo Napoli.

Ingegnere, partiamo dal principio. Quando nel 1969 diventa presidente lo scudetto era già nei suoi pensieri?

«No, perché la situazione finanziaria del club non lo consentiva. Il Napoli era pieno di debiti, a pezzi. La prima cosa che feci, quindi, fu quella di risollevarne le sorti da un punto di vista finanziario. Lo scudetto non era assolutamente nei miei pensieri».

Eppure in città la ricordano sempre come una persona ambiziosa…

«L’ambizione da sola non serve a molto se non ci sono le possibilità e in quel momento non c’erano. Fui costretto a tenere per me ogni aspirazione».

Passività a parte, da dove partì la ricostruzione?

«Dalla struttura societaria. Quando arrivai trovai dirigenti litigiosi, che si scontravano su ogni cosa, per cui smisi di considerarli. Con una sola eccezione…»

Quale?

«Achille Lauro, persona che per me valeva moltissimo. Dirigevo il Napoli ascoltando solo i suoi consigli»

Gli investimenti, in ogni caso, non tardarono ad arrivare…

«Una volta sistemato il bilancio fu possibile rinforzare la squadra».

Nel ’75 per Beppe Savoldi spese una cifra record per i tempi…

«È vero, ci costò due miliardi di lire, compreso il cartellino di Clerici. Fu un’operazione che fece rivoltare mezza Napoli; intervennero persino Carraro e la Juventus. Alla fine, però, il giocatore non si rivelò determinante come speravamo».

Portò anche altri giocatori di grido per l’epoca, eppure il tricolore non arrivava. Perché?

«Perché procedevo un passo alla volta. Oltretutto, pur guadagnando bene nel mio lavoro, dovevo confrontarmi con personaggi a capo di imperi economici. Pensi agli Agnelli e, in seguito, a Berlusconi… L’unica strada era quella della programmazione: sono partito dalla mentalità e dalle strutture e solo dopo ho fatto la squadra. Anche perché nessun giocatore ti fa vincere da solo, a parte Maradona…»

Eccolo il nome della svolta, come nacque la trattativa che lo portò a Napoli?

«Con un’amichevole di fine campionato. Diedi mandato a Iuliano di organizzarne una per fare cassa e lui mi propose il Barcellona, che però voleva essere pagato. Acconsentì a patto che giocasse anche Diego ma i dirigenti ci dissero che era infortunato. C’insospettimmo e chiamammo il manager, il quale ci riferì che aveva rotto con i catalani e si rifiutava di scendere in campo. Così decidemmo di provarci…»

E ci riusciste. Con Maradona il Napoli vince due scudetti, uno nell’87 e l’altro nel ’90, a quale è più legato?

«Al secondo. Il primo fu bello, ma lo vincemmo in modo più agevole. Quello del ’90, invece, arrivò dopo aver combattuto contro il Milano di Gullit e Van Basten e fu la rivincita dello scudetto dell’88».

Terminata l’era Maradona non era possibile ripartire con un altro ciclo?

«Purtroppo no. Avevamo fatto un passo importante, le banche ci avevano prestato tanti soldi e gli interessi erano alle stelle in quel periodo. Però, ecco, dobbiamo anche accontentarci di quello che siamo riusciti a fare…»

Da ex presidente e da tifoso come vive la crisi del Napoli di oggi?

«Ho delle mie idee ma le tengo per me. Non voglio disturbare l’attuale proprietà e se dicessi quello che penso probabilmente finirei col danneggiarla…»

Almeno può dirci come avrebbe gestito ai suoi tempi un ammutinamento della squadra come quello subito da De Laurentiis…

«Mi è accaduta una cosa simile, anche se in quel caso i giocatori non ce l’avevano con la società ma con l’allenatore. Per me era inaccettabile, così cacciai i 4 leader della rivolta, nonostante fossero molto amati in città».

A Corrado Ferlaino, uno degli ultimi presidenti padroni, piace il calcio moderno?

«Il calcio cambia, così come cambia il mondo ma continua a piacermi. Mi meraviglio, ad esempio, di fronte a una squadra come l’Atalanta, che gioca benissimo e ha calciatori molto forti come Ilicic e Gomez nonostante non spenda tanto come Juventus e Milan. Mi piace anche la Lazio di Immobile, uno delle nostre parti».

Magari qualcuno di questi giocatori le piacerebbe vederlo nel Napoli…

«Non me lo faccia dire, voglio continuare a fare il tifoso, soffrendo e gioendo, senza dare fastidio a nessuno».


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