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Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris

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I napoletani erano stati avvertiti a tempo, con una serie di tweet (ormai la comunicazione politica a questo va riducendosi) del sindaco barricadero Luigi de Magistris. Una raffica di battute contingentate tra le quali ne spiccava una poeticamente profetica: “Da visionario penso che la fase più avanzata della democrazia sia l’anarchia, sogno comunità che si autogestiscano senza poteri, solo amore!”. Testuale, eh. Roba di sei anni fa. Se ogni promessa è un debito, figuriamoci le visioni.

Napoli da tempo si autogestisce, senza poteri. L’anarchia è arrivata, ma non è il sogno di Bakunin e sodali, quanto piuttosto l’arraffa-arraffa plebeo. Napoli ormai è di chi se la piglia. Di chi fa i comodi propri, rispettando un’unica regola aurea: non ci sono regole. Eppur si muove e si muore (non solo nella famigerata serie tv di “Gomorra”), inabissati in un paradosso da manuale. La città è praticamente appiedata (l’azienda dei trasporti cittadini è sull’orlo del fallimento), assediata da una sporcizia elementare e spalmata come burro per piazze e vicoli, infognata in una quotidianità caotica (ieri il crollo agli Incurabili) e rassegnata, eppure è invasa dai turisti, come non era mai successo. A sedurre, oltre ai capolavori del Cristo Velato, del Caravaggio e dei marmi millenari del Mann, oltre alla pizza fritta e alla sfogliatella è, evidentemente, l’estetica dell’osceno, la filosofia del rotto, lo sbandamento della modernità, un benessere contaminato dalla sporcizia morale. Altrimenti non si spiega, se non come il fascino di una abnorme diversità che attrae come il retrobottega del progresso, della città invivibile dove si può immergersi solo per qualche giorno come si va un pomeriggio allo zoo a lanciare noccioline alle scimmie in gabbia per poi tornarsene nelle linde (e morbidamente accoglienti) case proprie. I guai sono per chi resta, anche perché se l’andazzo è questo c’è il rischio che le noccioline finiscano prima del previsto.

L’ultimo clamoroso esempio del disprezzo per le regole sono state le nozze neomelodiche di piazza del Plebiscito e Secondigliano con lo strascico di polemiche e di imbarazzi dell’amministrazione comunale. Pensatene quello che volete, ma s’è toccato il fondo di uno sdrucciolevole processo che ha trasformato la piazza simbolo di Napoli, quella della politica nobile e dell’arte contemporanea, in un palcoscenico lazzaro. Sui social s’è scritto di tutto. Scandalo e sarcasmo. E’ la fine dell’innocenza, soprattutto da parte delle anime belle della sedicente e inesistente società civile. E’ stato come chiedere di mettere le porte di ferro quando tutto è stato rubato. L’autogestione questo produce, che vi credevate? Inutile gridare fuori tempo massimo. Hanno scoperto l’esistenza di una Napoli lazzara, tatuata e griffata che fa quello che vuole. E le stese? Il cappio della criminalità su interi quartieri di Napoli? E l’oscurità di Chiaia, sempre più preda dei peggiori esponenti della zona grigia della città? E la corte dei miracoli di via Toledo, eldorado della monnezza e degli accattoni esposti e venduti allo spasso morboso dei forestieri? Da tempo è in corso una gentrificazione cialtrona che sta distruggendo la vita popolare nel cuore di Napoli, in particolare nei Decumani, Spaccanapoli e dintorni. Sono quasi completamente scomparsi i negozi di prossimità, quel piccolo e minuto commercio che consente di vivere e sopravvivere nel ventre della vacca. Non si fitta più, solo airbnb, spuntati a migliaia come funghi, legali e illegali, commestibili e velenosi. Ogni pizzeria, friggitoria, bar o bottega si sente autorizzato a occupare suolo pubblico con tavolini, sedie, gazebo, bancarelle, vetrine. E chi gli dice niente? La città si autogestisce. L’anarchia e il degrado spacciati come turismo esperienziale. Ma invece è solo abusivismo incontrollato, spicciola economia predatoria, senza struttura, senza visione, senza lungimiranza. 

Eppure de Magistris, che a otto anni dal suo ingresso trionfale a Palazzo San Giacomo e il rinnovo senza fatica del mandato galleggia come una boa disancorata in cerca di un futuro strapuntino politico, eppure de Magistris si presentò alla sfida elettorale come l’ex-pm paladino della legalità e della giustizia. Invece adesso è il sindaco del Rione Illegalità, è l’idolo di quella parte della città che si pasce nell’autogestione, nel tira a campare, nell’appropriazione del bene comune, nell’arte di arraffare. E si capisce come ormai il leader guevarista sia diventato il migliore alleato di Matteo Salvini, non solo quando lo sfida con armi da Don Chisciotte o quando aizzava con toni rodomonteschi i centri sociali, ma proprio quando lascia che l’autogestione si trasformi in latitanza del potere e della politica, persino del minimo sindacale dell’amministrazione pubblica. Il capo della Lega, il padano convertito al sovranismo, può agevolmente trasformarsi in un nuovo e probabile Masaniello. San Gennaro ce ne scampi. Con i Democratici rissosi e ridotti elettoralmente a una reliquia ininfluente, il vicepremier lumbard è avvertito come il tutore d’ordine, l’uomo della Provvidenza, applaudito e rincorso per un selfie ogni volta che cala al Sud. L’indigestione dell’autogestione ha generato la mostruosità di un eroe antinapoletano invocato come salvatore della Patria Napolitana. Non è solo eterogenesi dei fini, come direbbe qualsiasi filosofo della domenica, è soprattutto la fine di un disastroso equivoco.


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