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Calabria superstar al Sud nella spesa dei fondi dello Sviluppo rurale per la programmazione 2014-2020. 

L’Italia, come è noto, si caratterizza per un andamento lento della spesa che ha più volte fatto scattare l’allarme sul rischio disimpegno dei fondi europei che comporterebbe una perdita delle risorse strategiche per sostenere lo sforzo innovativo, gli investimenti e il ricambio generazionale dell’agricoltura italiana. Tradizionalmente il Sud era nella lista nera. E certo le performance del Mezzogiorno, nel suo complesso, restano meno brillanti rispetto a quelle del Centro Nord.

Ma la Calabria, con il 36,87% dell’avanzamento della spesa certificato a fine febbraio, è la più virtuosa e supera la media  del 31,92% messa  a segno dalle  Regioni “più sviluppate”, così come sono definite dal Psr. Fanalino di coda tra le regioni del Sud è invece la Puglia ferma al 19,17%. E se resta forte il distacco con regioni del Nord come il Veneto, che svetta al 46,28%, la Calabria  sorpassa però Emilia Romagna (32,64%)  e Piemonte (32,50%). In ogni caso il dato totale comprensivo del Psr a livello nazionale e della Rete Rurale nazionale è del 29,90 per cento.

Occorre dunque un cambio di passo, ma l’emergenza non è più solo targata Sud. E cade anche lo stereotipo di un Mezzogiorno arretrato e poco incline a utilizzare le risorse finanziarie comunitarie. A confermare il forte l’interesse per il futuro della politica agricola è la consultazione online lanciata dall’autorità di gestione del Psr Calabria che, fino al 30 aprile, raccoglierà le indicazioni dei cittadini regionali per coinvolgerli nel dibattito finalizzato a costruire la nuova Politica agricola comune, la cui riforma  sarà uno dei banchi di prova, dopo le elezioni di maggio, del nuovo Parlamento e della rinnovata Commissione.

La partita della modernizzazione e della semplificazione è fondamentale per ridare ossigeno al settore agroalimentare, che nel Sud si conferma un cuore pulsante dell’economia. E la politica dello sviluppo rurale, il cosiddetto secondo pilastro della politica agricola europea, svolge un ruolo strategico  per affrontare le criticità territoriali che ostacolano un pieno sviluppo del settore. Le finalità dei Psr spaziano dalla promozione del trasferimento delle tecnologie alla valorizzazione della sostenibilità produttiva, con la tutela degli eco sistemi e l’incoraggiamento degli investimenti che tagliano le emissioni, dalla migliore organizzazione delle filiere al potenziamento dei redditi, un pacchetto di interventi destinato a rafforzare l’ossatura dei territori. E tra le misure più gettonate dello Sviluppo rurale ci sono quelle che favoriscono gli investimenti, le filiere e il turn over aziendale.

Ma non si parte da zero. Uno studio dell’Ismea ha infatti certificato la maggiore crescita delle industrie alimentari del Sud rispetto al resto del Paese. Un settore produttivo con un valore aggiunto di 18,5 miliardi che schiera nel Mezzogiorno 344mila imprese agricole e 34mila industrie, pari al 18,5% delle imprese meridionali, 668mila occupati e un valore delle esportazioni che ha superato quota 7 miliardi. 

Il fatturato dell’agroindustria del Sud corre più veloce: +5,4% contro il +4,4% del Centro Nord. Imprese che, secondo il report Ismea, operano in settori produttivi caratterizzati da una spiccata dinamicità (caffè, cioccolato, confetteria, prodotti da forno, conserve vegetali e olio). Inoltre si rileva una presenza significativa di realtà produttive gestite da imprenditori under 25, più performanti e dinamiche, che hanno centrato una crescita del giro d’affari del 12% a fronte di un incremento fermo all’8% nel Centro-Nord. E uno degli elementi di competitività è l’etichetta “100% made in Italy”. Le leve della qualità e della territorialità fanno la differenza, in particolare proprio nel Sud dove è più marcata la componente agricola, anche se l’italianità è un comune denominatore che lega Nord e Sud. 

Restano però  elementi di criticità, in particolare la dimensione ancora ridotta dell’agroindustria del Mezzogiorno, la frammentazione e la forte dipendenza – spiega Ismea – da fonti esterne di finanziamento che rende difficile l’accesso al credito per ulteriori investimenti. Una condizione che rischia di frenare l’ulteriore salto di qualità.


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