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La vera novità che è emersa dal forum del Quotidiano con il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri, il professor Antonio Nicaso e il numero due di Eurojust, Filippo Spiezia (SCOPRI I CONTENUTI), è che nel Nord Italia e in Europa, quelle che una volta venivano chiamate le “aree non tradizionali” di espansione delle mafie italiane e in particolare della ‘ndrangheta (peraltro l’unica organizzazione criminale ad essere presente in tutti i continenti) non vi è la consapevolezza della necessità di una “risposta coerente e comune”. E che è ormai superata la visione secondo cui l’espansione delle mafie in aree diverse da quelle della loro genesi storica sia equiparabile a una patologia contagiosa, alla stregua di un esercito che invia nei territori di conquista dei presidi. La situazione è alquanto diversa.

IL DOSSIER EUROPOL

Basta rileggersi le denunce forti del vicepresidente dell’agenzia dell’Ue nata per migliorare il coordinamento delle indagini sulla criminalità organizzata e transfrontaliera, che, non a caso, ha auspicato che vi sia una “ricaduta” dei temi affrontati durante il forum.

“L’’ultimo rapporto di Europol sul crimine organizzato italiano risale al 2013. Non c’è un rapporto aggiornato e da fonti istituzionali mi è noto che esso è nei cassetti e non c’è la volontà politica di tirarlo fuori e questo è gravissimo”. E ancora: “Il tema della criminalità italiana mafiosa, se è un dato acquisito sul piano criminologico e giudiziario incontra ancora forti resistenze rispetto alla necessità di una risposta comune e coerente”, ha detto sempre Spiezia. E quando il direttore Roberto Napoletano ha individuato un’analogia con “La stessa diffidenza rispetto all’opportunità di una risposta comune e coerente contro le mafie che c’è nel Nord Italia”, Spiezia non solo lo ha confermato ma ha fatto appello, in vista dell’entrata a regime di un nuovo organismo giudiziario in materia di abusi sui fondi Ue, ovvero il procuratore europeo, che l’Italia faccia sentire la propria voce. (LEGGI)

In base al Regolamento attuale, la nuova struttura “dovrà indagare su fatti commessi a partire dal novembre 2017, ciò significa che partirà con un arretrato di tre anni e questo è un problema serissimo che richiede risposte immediate”. Ma Spiezia ha anche proposto un’aggravante specifica per la locupletazione di denaro legato a finanziamenti Covid in quanto l’attuale fattispecie penale della percezione indebita di aiuti comunitari– 316 ter per gli addetti ai lavori – “è assolutamente fuori parametro con la pena della reclusione al massimo di 3 anni che neppure consente il ricorso a tecniche investigative speciali e nemmeno a misure cautelari”. (LEGGI)

MODELLO ITALIANO

Lo staranno a sentire? Difficile dirlo. Difficile dire anche se Paesi come la Germania o il Regno Unito, per fare degli esempi eclatanti, che sul fronte antiriciclaggio e degli accertamenti patrimoniali non hanno normative avanzate come quelle vigenti nel nostro Paese, seguiranno il modello italiano. Ma è l’Italia che ha finanziato l’iniziativa Interpol di attacco globale e non è chiaro se gli altri Paesi si “adegueranno”, ha denunciato uno dei massimi di esperti di ‘ndrangheta al mondo come il professor Nicaso sempre durante il forum.

Ma sono almeno altri due gli interrogativi in piedi. Uno. Chi non vuole che sia reso noto il rapporto aggiornato sul crimine organizzato in Europa? Spiezia parla di “volontà politica”.

LE ’NDRINE TEDESCHE

Del resto, era la stampa conservatrice tedesca, che di recente non ne azzecca una, a invitare l’Europa a non aiutare l’Italia in tempi di pandemia perché «la mafia sta aspettando i soldi da Bruxelles», ma chissà se lo sa l’ormai famigerato editorialista di Die Welt che Guenther Oettinger, ex capo della Cdu nel Parlamento del Land tedesco del Baden Wurttemberg ed ex commissario al Bilancio europeo nella squadra di Juncker, era in ottimi rapporti con il calabrese Mario Lavorato, condannato a dieci anni e otto mesi di carcere nel maxi processo Stige, quello conclusosi con oltre sei secoli di condanne per i presunti affiliati al “locale” di ’ndrangheta di Cirò nell’ambito della quale l’amico di Oettinger (il «mio italiano», lo chiamava) era ritenuto il capo della cellula operante in parte, appunto, nel Baden Wurttemberg e in parte nell’Assia.

LEGGI “LA GERMANIA DELLA ‘NDRAGHETEN”

Ma è soltanto uno degli esempi che si potrebbero fare, e lo facciamo giusto per dare un’idea delle dimensioni del radicamento della ‘ndrangheta nelle “aree non tradizionali”.

I PATRIMONI

Le infiltrazioni mafiose nel tessuto economico e sociale in Germania, per esempio, sono possibili perché là è più facile riciclare soldi sporchi che in Italia, dove gli accertamenti patrimoniali sono più stringenti e dove non ci sono case automobilistiche, come in Germania, che producono veicoli addirittura muniti di rilevatori di microspie. Insomma, al Nord Italia come nei Paesi del Nord Europa – e quello che diciamo è accertato da plurime inchieste giudiziarie in molti casi già approdate a sentenze – a favorire quell’infiltrazione e quel radicamento è stata una zona grigia fatta di pratiche di illegalità preesistenti. Una zona grigia occupata da pezzi di imprenditoria, di politica e professionisti collusi che, nel Nord Italia come nel Nord Europa, con i boss e i loro gregari vanno a braccetto e ci fanno affari. In tutti i casi è decisiva la presenza di imprenditori, politici e professionisti, cioè, che sono disponibili a intrecciare rapporti di scambio con i mafiosi, data la loro enorme disponibilità di liquidità, e se sul piano giudiziario e degli studi criminologici ciò è ormai un dato acquisito non lo è sul piano politico, economico e sociale degli interventi antimafia, che nessitano di un salto di qualità non più rinviabile.

CESSATE IL FUOCO

Chi non vuole capire che le mafie che non sparano sono altrettanto pericolose, insomma, di quelle sanguinarie che tengono sotto scacco interi territori del Meridione d’Italia (“al Sud i delitti e al Nord gli affari”, è un vecchio leit motiv) non ha colto che c’è un fenomeno autonomo che chiama in causa tratti peculiari delle società del Nord Italia e del Nord Europa.

Le mafie vanno là dove c’è la polpa, cioè gli affari, il potere, e la loro possibilità di mimetizzarsi è accresciuta non solo dalle loro competenze di illegalità ma anche dalle relazioni di complicità nella sfera (apparentemente) legale dell’economia, della politica, delle istituzioni. Basta leggersi le cronache degli ultimi anni, con arresti eccellenti di politici e imprenditori sempre più propensi ad accreditarsi per la loro reputazione mafiosa, e ricordare che il processo più grande contro le mafie in Italia degli ultimi 30 anni si sta celebrando nella grassa Emilia. I modelli di insediamento cambiano a seconda dei contesti territoriali ma la sostanza non cambia.

“È una storia che si ripete”, per citare la chiosa di Gratteri che rispondeva positivamente al direttore Napoletano che chiedeva se in tempi di Coronavirus arriverà prima la finanza parallela della ‘ndrangheta, ormai “vera banca del Nord”, a sancire la sconfitta della burocrazia e del credito. Insomma, il salto di qualità non è più rinviabile contro una mafia deterritorializzata ma se questo fa parte da tempo del dominio conoscitivo di magistrati e studiosi del calibro di quelli che hanno partecipato al forum del Quotidiano non lo è per il legislatore. Né quello italiano né quello europeo. (LEGGI)


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