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In un’intervista al Quotidiano del Sud uscita venerdì scorso, Giulio Tarro (LEGGI), virologo di fama mondiale, ha spiegato il collasso delle strutture ospedaliere dinnanzi all’emergenza coronavirus «con i tagli alla sanità». Il medico ha ricordato: «Già nell’inverno 2018, a causa di un’epidemia influenzale, gli ospedali lombardi si trovarono sovraccarichi». L’emergenza coronavirus, dunque, ha fatto venire al pettine tutti i nodi di un atavico sistema di riduzione della spesa sulla pelle dei pazienti italiani.

I NUMERI

I dati della Fondazione Gimbe (centro studi di politica sanitaria) confermano la considerazione di Tarro: in soli dieci anni, tra manovre finanziarie ed esigenze di finanza pubblica, sottratti 37 miliardi alla sanità pubblica.

Sull’altare della spending review, sono stati sacrificati posti letto, assunzioni di medici, reparti e persino interi ospedali. Le sforbiciate sono state trasversali. Ad ammetterlo è Girolamo Sirchia, già ministro della Salute nel governo Berlusconi II, che in un’intervista a Libero spiega: «Quasi tutti i governi italiani degli ultimi anni hanno avallato le disastrose strategie economiche globaliste della Ue per incapacità e debolezza».

L’analisi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è impietosa: nel 1980 per 100mila abitanti l’Italia aveva 922 posti letto per casi acuti o in terapia intensiva, posti che si sono ogni anno ridotti fino a scendere poco sotto soglia 300 nel 2010 e raggiungere quota 275 nel 2015. Un taglio del 51% avvenuto soltanto tra il 1997 e il 2015, che ha portato il Belpaese ad occupare posizioni in fondo alla classifica europea. In testa la Germania con 621 posti, più del doppio dei nostri. Meno letti per i pazienti, ma anche meno assunzioni di personale. La Ragioneria di Stato rilevava tre anni fa che tra il 2009 e il 2017 il numero di dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale ha perso 46.500 tra medici e infermieri, meno 6,2%. Cifre che fanno suonare il campanello d’allarme: ospedali e pronto soccorso potrebbero non essere in grado di portare il peso di un’estensione dell’epidemia del virus in tutto il Paese. Lo sottolinea Carlo Palermo, segretario nazionale dell’Associazione Nazionale Medici: «Sarebbe problematico trovarsi nella situazione di dover gestire un ipotetico acuirsi della crisi».

CRONISTORIA DEI TAGLI

Una rapida rassegna dei dieci anni di tagli alla sanità italiana la offre il report sul definanziamento del Sistema Sanitario Nazionale 2010-2019 della Fondazione Gimbe. La prima robusta decurtazione registrata coincide con l’insediamento del governo tecnico guidato da Monti che, in nome della spending review, sottrae al Ssn circa 25miliardi (30 secondo la stima delle Regioni). Benché breve, non si sottrae a questa pratica il governo Letta, che nel 2013 definanzia progressivamente la quota di PIL destinata alla sanità pubblica dal 7,1 al 6,7% ed apporta tagli al Ssn.

Il passaggio di consegne con Renzi sembra l’alba di una nuova stagione con il Patto per la Salute che mette sul tavolo risorse, le quali restano però virtuali. Si collezionano, piuttosto, altri segni meno alla voce sanità. Con Gentiloni al timone dell’esecutivo, la musica non cambia: nel 2017 si prevede un calo della spesa pubblica sanitaria rispetto al PIL dal 6,7% al 6,4% per il 2019. E poi, ancora, nel settembre 2017 avviene una nuova sforbiciata alla spesa sanitaria il cui peso sul Pil si riduce al 6,3%. Con il primo governo Conte, nel 2018, al netto degli annunci di crescita economica, aumenta solo dello 0,1% annuo il rapporto spesa sanitaria/PIL. E ora? Sembrano essere in controtendenza le misure straordinarie annunciate dal governo nei giorni scorsi. Chissà che i nodi della sanità venuti al pettine con il coronavirus, non facciano finalmente riporre le forbici.


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