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Homer e Bart

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Si discute così tanto di genitorialità e maternità, così poco nello specifico di paternità, quasi la responsabilità dei figli e della loro educazione ricada ancora, soprattutto, sulla madre. In passato il padre aveva quasi il diritto a certe latitanze e disattenzioni: già nel portare lo stipendio a casa, aveva fatto la gran parte del proprio dovere. Mentre bastava una frivolezza per giudicare una madre frivola, con tutt’altra elasticità si giudicavano i malcostumi di un padre.

I tempi sono cambiati, ma certi retaggi culturali non svaniscono dall’oggi al domani: anche se le donne ormai lavorano e contribuiscono all’economia domestica, molti uomini sono ancora convinti di aver esaurito il proprio dovere educativo portando lo stipendio a casa, a volte non lo portano neanche, a volte lo sottraggono.

La cronaca dimostra che ci sono ancora troppi uomini che calpestano la famiglia e troppe donne che per la famiglia si logorano. Perciò è importante parlare più spesso di paternità, rendere consapevoli del fatto che l’esempio maschile può arrecare un grave danno a un figlio così come può salvarlo. Un padre che ama educa all’affetto. Un padre che affronta i problemi e ne parla, educa alla risoluzione. Un vero padre guida i figli nella consapevolezza di ciò che è giusto e sbagliato. Uomini che incentrano la propria vita sulla rovina insegnano ai figli a vivere nella schiavitù; così come uomini che incentrano la propria vita sul trionfo insegnano ugualmente ai figli a vivere all’ombra di falsi idoli, e quindi comunque a vivere nella schiavitù.

La mia generazione è cresciuta vedendo un cartone americano di culto, “I Simpson”. Tra i protagonisti c’erano Homer e Bart. L’uno era un padre irresponsabile, scostumato, manesco, lavativo, incapace di una vita ordinaria; soltanto in circostanze estreme sapeva tirare fuori il meglio di sé. L’altro era un figlio altrettanto irresponsabile, bugiardo, incline a combinare guai.

Da bambina mi colpiva il fatto che Bart chiamasse suo padre per nome, “Homer”. Mi colpiva perché qui in Italia un padre si viene invitati a chiamarlo sempre “padre”, anche quando non lo merita, “resta comunque tuo padre”.

A distanza di anni ho capito che Bart, il ragazzino del cartone, chiamando suo padre “Homer” tentava di difendersi. Chiamare un padre per nome significa ammettere che quel padre, prima di essere padre, è una persona, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Sta a noi figli, crescendo, imparare a guardare oltre le mura di casa; smettere di assecondare o dare colpe (anche se giustificate) a chi ci ha generato e diventare responsabili di noi stessi; scegliere quello a cui non vogliamo assomigliare e cominciare a essere.


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