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Liliana Segre

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5 minuti per la lettura

Una signora prende a braccetto un uomo per strada. In un Paese civile questo sarebbe stato soltanto un gesto di galanteria.
Invece si tratta della senatrice Segre e dell’uomo della sua scorta che l’accompagnerà.

È un Paese che ha fallito il nostro, se una donna nata nel 1930 e sopravvissuta alla Shoah, viene minacciata.

Alla notizia abbiamo sgranato gli occhi, chiedendoci il perché e, per quanto la cerchiamo, non troveremo una vera motivazione: c’è solo l’impoverimento esistenziale di questi tempi.

Il male è la distorsione del pensiero.

Vi è solo una cura e riguarda l’uso che siamo in grado di fare delle parole, sono queste che creano mondi.
Lo spiega bene Wittgenstein quando afferma che “I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”.
Il linguaggio dell’odio è dogmatico, fatto di assiomi che ghettizzano la mente, eliminandone qualsiasi sfumatura.
Minacciare chi arriva da quel passato ha dell’inverosimile.

Ho ripensato alle lezioni di storia, agli insegnanti che spiegano l’Olocausto, a film come Train de Vie o come Shoah che ti lasciano senza respiro. Ho ripensato a Se questo è un uomo . Ho ripensato a quando è stato indetto e si festeggia il giorno della memoria perché la Storia va ricordata, perché non si ripeta.
Ma, per quanto si tenti di tramandare, qualcosa di essenziale si smarrisce comunque. Per questo la senatrice è preziosa, perché racconta da testimone quel che accadde.

Nonostante tutto questo impegno in difesa del passato, a Lucca Comics hanno sfilato ragazzi travestiti da soldati dell’esercito nazista, come se la Storia fosse un concetto pericolosamente astratto, un gioco di ruolo, un videogame, dove non muore nessuno per davvero.

Auschwitz ha ridotto concretamente in pezzi l’identità umana di chiunque.
Mi sono sempre chiesta come sia possibile sopravvivere a tanto orrore.
Lo spiega la senatrice stessa: «…perché tanto amata».

L’amore sono le parole che abitano in noi, quelle che ripeschiamo nei momenti di gioia o di difficoltà, quelle che definendoci, definiscono anche il nostro sguardo sul mondo. Minare l’identità è distruggere quel vocabolario interno, quello che è casa.

Senatrice Segre, ci sono alcune parole che Le hanno permesso di mantenere un minimo di speranza nel periodo di prigionia, parole che l’hanno aiutata a non impazzire, e se sì quali?

«Quando la propria identità è annullata (e si cominciava con la rasatura a zero, con l’essere ridotti al numero che si aveva tatuato sul braccio ecc.) si perde anche la capacità di pensare ed elaborare ragionamenti. Si pensava solo a sopravvivere, a mangiare, a cercare di non finire fra quanti erano destinati alle camere a gas. La scissione fra esistenza e coscienza era assoluta».

Lei che ha avuto a che fare con l’indicibile che rapporto ha con il linguaggio?

«Per noi sopravvissuti della Shoah il rapporto con il linguaggio nel senso del racconto delle nostre esperienze è stato sempre altamente problematico. Proprio perché problematico, anzi a rigore impossibile è dire l’indicibile».

Di cosa hanno bisogno secondo lei i ragazzi oggi? Se potesse salvare solo una parola quale salverebbe e perché?

«I ragazzi hanno bisogno di quello di cui tutta la società ha bisogno e cioè una scuola che funzioni, condizioni famigliari dignitose, anche dal punto di vista economico e civile, prospettive di vita e di arricchimento culturale e sociale. Più che una parola direi tutto il lessico della democrazia e della nostra Costituzione è da salvare e soprattutto diffondere».

Ascoltare la risposta della senatrice mi riporta in un tempo preciso, quello della formazione. A qualunque età, in qualsiasi contesto storico e in qualsiasi spazio si ha bisogno di “parole che definiscono riconoscendo il valore dell’altrui identità”.

Che spiegazione si è data del male e perché non tutti riescono a coglierlo il male?

«Il male è probabilmente una componente ineliminabile della nostra esistenza. Il problema è evitare di far crescere questa componente, fino ad assolutizzarla. Perché questi sono stati i totalitarismi del ‘900: l’invenzione del Nemico assoluto, da criminalizzare, uccidere, sterminare. E invece la limitazione del male è precisamente il compito della cultura, della politica, di una vita davvero civile».

Cosa ha significato la carica di senatrice, quale il primo pensiero che ha avuto? 

«Dico a voi quello che dissi al Presidente Mattarella che mi fece la stessa domanda: ho pensato a me stessa bambina, alla Liliana di 8 anni che ascolta alla radio di essere stata espulsa dalla scuola. Era il 1938, erano le leggi razziste del fascismo. Espulsa. Perché? Che cosa avevo fatto? Il compito della senatrice di oggi è riscattare socialmente e moralmente la bambina di allora».

La Segre non racconta solo la sua storia personale, ma una Storia che tuttora in alcune parti del mondo è realtà, per questo le sue parole hanno un doppio valore: il valore del racconto e il valore di un allarme che tutti dovremmo ascoltare. Salvando l’identità del singolo, salviamo l’identità dell’umanità intera.

Cos’è per lei l’identità, cosa definisce un essere umano rispetto ad un altro rendendolo unico?

«Identità è esattamente il contrario di quanto ho appena detto di Auschwitz: è libertà, dignità, indipendenza dal bisogno e dalla sopraffazione».

Queste sono le parole che definiscono il mondo che vorremmo, e seppur la senatrice il giorno della propria nomina abbia modestamente risposto al senatore Renzo Piano «Le mie parole saranno gocce» quelle gocce sono diventate tante, sono diventate un mare, perché tante sono le persone che stanno esprimendo la propria vicinanza e solidarietà alla Senatrice, a cominciare dal capo della scorta, che presentandosi a lei, emozionato ha detto: «Grazie, signora, per l’onore che mi fa di poterla accompagnare, lo considero l’incarico più prestigioso al quale sono stato chiamato».

Anche noi ci inchiniamo di fronte alle parole coraggiose della Storia.
Libertà, dignità e indipendenza sono mattoni con i quali costruire quella casa che l’impoverimento umano e linguistico distrugge. Dobbiamo partire da qui per riscattare la nostra identità. Questo è il messaggio che la senatrice Segre ci porta dal cuore di tenebra del Novecento.


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