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A Roma, nel parco di Villa Pamphilj, la targa “Viale 8 marzo Festa della donna” è stata distrutta.

All’inizio si è pensato fosse colpa dei rami di qualche albero caduto, ma i rami degli alberi non sono così stupidi. A fare quello sfregio possono essere stati soltanto rami umani: quelle due braccia attaccate al tronco, le cinque foglie delle dita di una mano, troppo spesso snaturate e mosse per compiere azioni violente. Ci sono ancora i segni dei colpi dei sassi lanciati contro la targa.

«Un gesto vergognoso che offende tutta Roma e i suoi cittadini» ha commentato la sindaca.

Concordo sul fatto che quel gesto sia “vergognoso”, ma da donna e da cittadina romana non mi sento poi così offesa.

Chi compie un atto simile non offende me, offende se stesso. Può affannarsi quanto vuole a scalfire quella lastra, non colpisce comunque la materia simbolica concreta che essa rappresenta. Certe donne sono ormai consapevoli di essere al di fuori di quel rettangolo di marmo fermo; è più grande e in movimento la rivoluzione che stanno compiendo, e quello sfregio lo dimostra: solo quando un potere esiste davvero – e inizia a pretendere di essere riconosciuto – viene avvertito da qualcuno come una minaccia. I simboli vuoti di significato non disturbano mai nessuno.

Il guaio è che aggiustare i danni, anche quelli provocati dagli idioti, costa.

Ai vandali che costringono a spese ingenti e inutili, graffiando la carrozzeria delle automobili o rovinando fontane preziose, agli scippatori, ai ladri di Tangentopoli, insomma a quanti sottraggono ingiustamente soldi pubblici o privati, la mia maestra dell’asilo rivolgeva sempre, tra sé e sé, una maledizione: «Che quei soldi li spendano in medicine». Lei che il male non lo sapeva fare né restituire, cercava di pareggiare il conto augurandolo.

Non credo che le sue maledizioni siano mai andate a segno, perché il corriere della vita spesso sbaglia indirizzo e manda accidenti a chi non li merita. Credo però che quelle persone abbiano già in sé una maledizione esistenziale peggiore di qualsiasi malaugurio possa essere mandato: dev’essere terribile vivere provando il gusto sottile per la distruzione; significa non conoscere la felicità piena della costruzione, perché chi faticosamente la assapora è incapace di distruggere.

Il danno alla targa “Viale 8 marzo Festa della donna” può trasformarsi in un’occasione e faccio un mio personale appello: a partire da quest’anno smettiamo di chiamare “festa” quella che è la “giornata internazionale della donna”.

Quella ricorrenza non è un festeggiamento concesso, è una celebrazione istituita, come si celebra la giornata internazionale della memoria. Non bastano cioccolatini e mimose, occorre ricordare.

Anche il nostro inserto culturale, domenica 8 marzo, si impegnerà a ricostruire la storia delle conquiste femminili.

E proprio perché la parità di genere sia sempre più raggiunta, sarebbe bello se si cominciasse a festeggiare anche in Italia la “giornata internazionale dell’uomo”, per ricordarci che anche i maschi, quando sono uomini, sono da celebrare.

La giornata internazionale dei vandali, invece, spero non venga mai istituita.


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