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Quante volte il viso è costretto a farci da maschera.

Non avendo altri schermi tra noi e gli altri, addomestichiamo la nostra vera espressione, camuffandola. Davanti a discorsi che non ci interessano e non condividiamo, annuiamo, sperando finiscano lì. Per non sbadigliare, sgraniamo gli occhi. Quanta commozione asciutta! Di continuo conduttori e ospiti televisivi tirano fuori fazzoletti per tamponarsi lacrime che non scendono.

A volte non si finge per opportunismo, ma soltanto per un malinteso senso dell’educazione, che mettiamo in atto a danno unicamente di noi stessi. Quanti vaffanculo – che avremmo tutto il diritto e il dovere di dire – imbrigliamo dentro la gabbia di un sorriso di sopportazione? Quanti sguardi carichi come pistole dovremmo puntare contro qualcuno, e invece li puntiamo a terra per paura di sparare?

Con distorsioni facciali lievi o profonde, il viso, che vorrebbe esprimere una cosa, viene costretto a esprimerne un’altra. Osservando certi volti, sembra esserci dietro un prigioniero, che vorrebbe emergere ma è tenuto sommerso.

A Carnevale ci si maschera. Io sono convinta che, sotto quella maschera esterna, il viso possa finalmente assumere l’espressione che davvero gli appartiene. Come sarebbe bello poter sbirciare, senza che nessuno se ne accorga, sotto quelle coperture di cartapesta! Quante risate scopriremmo essere ghigni, quanti apparenti empatici essere arcigni, quanti seriosi rivelarsi allegri, quanti allegri essere affranti, quanti timidi essere audaci, quanti audaci essere incerti, quanti eroi essere stanchi.

Il Carnevale non è la festa della menzogna, è la festa della verità: sono i giorni di ferie del viso, che finalmente può essere viso e basta, perché una volta all’anno a fare la maschera ci pensa la maschera.


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