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Anna Magnani

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«Lo so, sono la donna più discontinua del mondo. Tutto cambia dentro di me da un’ora all’altra. Il fatto è che seguo sempre il mio istinto e il mio cuore. Non mi curo mai di quello che sembro, di come gli altri mi vedono. Sono così, come la mia vita, le mie speranze, le mie delusioni, le mie gioie e la mia infelicità mi hanno fatta. Nella vita però tutto mi emoziona, tutto mi commuove, mi fa tenerezza e mi spinge alla generosità. Ma nel lavoro, lo riconosco, sono una peste. Qualche volta posso anche diventare cinica, cattiva, spietata. Non ammetto che si bari, che si truffi. Io, il mio mestiere l’ho sudato e sofferto. Ho impiegato molto tempo, e ho faticato per diventare la Magnani. Ora sudo e fatico per continuare a esserlo».

Ecco Anna, Nannarella o semplicemente Magnani. Difficile raccontare quello sguardo che aveva il bagliore di un fulmine e ti inchiodava prima di affogare nel rombo di tuono di una risata potente. Una risata quasi a schernire la sorte di quei personaggi che di volta in volta le venivano affidati e in cui lei si tuffava senza rete alcuna. Anna era senza pelle, sullo schermo e nella vita.

«La prima cosa che conobbi di Anna Magnani fu la sua risata. Era una risata forte, prepotente, dolorosa, una risata quasi feroce che mi ferì i timpani e il cuore. Era un’eccezione fisica di straordinario talento», disse di lei Vittorio De Sica che la dirigerà nel 1941 in “Teresa Venerdì”.

L’attrice sarà anche l’indimenticabile protagonista di “Bellissima” di Luchino Visconti nel 1951; poi de “La rosa tatuata” di Delbert Mann, film tratto dal romanzo di Tennessee Williams che il 21 marzo 1956 le valse un Oscar come miglior attrice protagonista. Nannarella non partecipò alla cerimonia e apprese la notizia per telefono nella sua casa romana. Nel 1962 eccola in “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini. La sua ultima volta sullo schermo? Per Federico Fellini, il film è “Roma” del 1972. Quando morirà il 26 settembre 1973, Eduardo De Filippo scriverà: “Confusi con la pioggia sul selciato, sono caduti gli occhi che vedevano gli occhi di Nannarella che seguivano le camminate lente sfiduciate ogni passo perduto della povera gente. Tutti i selciati di Roma hanno strillato. Le pietre del mondo li hanno uditi”.

Perché il mondo era rimasto abbagliato da lei in “Roma città aperta” di Roberto Rossellini. È il 1945 Anna è sora Pina. Il film diventa un cult del Neorealismo. Spezza il cuore la Magnani in quella corsa disperata dietro a un camion tedesco a via Montecuccoli sulla Prenestina. In una Roma sotto assedio, non si cancella quel gesto della mano levata in aria. A riguardare la sequenza – tra le più celebri della Storia del Cinema – puoi quasi sentire i battiti nel petto di sora Pina mentre i capelli, come meduse impazzite, schiaffeggiano il cielo, la speranza e la pietà. Negli occhi di Pina tutto l’amore e tutto il dolore del mondo. Lì, su quel camion c’è il suo Francesco: un tipografo che ha scelto la Resistenza, l’uomo col quale ha diviso la vita. Poi, il tuono dei colpi di mitra: sora Pina cade sotto gli occhi atterriti del figlioletto e di don Pietro, l’indimenticabile Aldo Fabrizi. Il breve tempo di quella corsa nei versi di Pasolini :“Quasi emblema, in noi l’urlo della Magnani sotto le ciocche disordinatamente assolute, rinnova nelle disperate panoramiche, e nelle occhiate vive e mute si addensa il senso della tragedia. È lì che si dissolve e mutila/il presente, e assorda il canto degli aedi”.

L’antidiva entra nella Storia del Cinema ma per tutti continua a essere Nannarella: non aveva bisogno di apparire altro da ciò che era. La immagini così anche quando pensi a come doveva essere da bambina. Una bimba che la nonna aveva cresciuto e si era impegnata a fare studiare. Collegio di suore francesi, pianoforte e Accademia di Santa Cecilia. Quando Anna lascia la musica e sceglie la recitazione non fa sconti alla formazione: nel 1926 inizia a frequentare la scuola di arte drammatica “Eleonora Duse”, diretta da Silvio D’Amico, che nel 1935 si trasformerà in Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Sul suo cammino il Cinema e la vita s’intrecciano. Ed è lungo questa strada che la Magnani – nata a Roma il 7 marzo del 1908 da una giovane sarta originaria di Fano – incontra la Calabria almeno due volte, al netto del padre che lei non conobbe mai e di cui da più parti si sono ipotizzate possibili origini calabresi. Ma tant’è. Sul Grande Schermo grazie a Rossellini e a “Roma città aperta” , l’attrice incontra la storia della calabrese Teresa Gullace a cui è ispirato il ruolo di sora Pina. Originaria di Cittanova, Teresa fu uccisa da un soldato tedesco durante l’occupazione di Roma, freddata da un colpo di pistola mentre tentava di parlare al marito prigioniero. Aveva 36 anni, cinque figli ed era incinta del sesto.

La Magnani sfiorerà ancora una volta la Calabria anche nel tormentato addio con Rossellini.

Un periodo turbolento raccontato, ad esempio, ne “I ragazzi della Panaria”, documentario di Nello Correale. Attraverso la testimonianza dell’allora ottantenne principe Francesco Alliata, ultimo rimasto dei “ragazzi della Panaria”, Correale ricostruisce la storia di una piccola casa di produzione siciliana fondata da quattro ragazzi. Per fortuito caso, uno dei quattro, Renzino Avanzo, era il cugino di Roberto Rossellini: fu solo grazie a lui che la “Panaria Film” poté realizzare la sua prima produzione. Nel 1949, infatti, il gruppo si organizza per girare “Vulcano”. Protagonista la Magnani legata sentimentalmente a Rossellini.

La storia è “spezzata” da una lettera che la svedese Ingrid Bergman scrisse al regista. Rossellini lascia “Mamma Roma” per la svedese e inizia a realizzare con lei, “Stromboli, terra di Dio”. Da qui inizia “la guerra dei vulcani” : da una parte (a Stromboli) Rossellini, la Bergman e il nuovo film; dall’altra (a Vulcano) i ragazzi della Panaria e Anna “mollata” e infuriata. Documentario a parte, a voler poi “romanzare” l’addio, se l’incipit è in quella lettera galeotta in mezzo c’è anche il viaggio verso le Eolie di Ingrid e Roberto e la sosta della leggendaria coppia a Catanzaro.


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