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“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce –semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”

Così Noam Chomsky in “Media e potere” spiega in che modo i popoli subiscono passivamente abusi, applicati a loro danno con gradualità. È un principio valido anche sul piano individuale, se consideriamo alcune dinamiche professionali e sentimentali: più si consolida l’abitudine, meno si trova la forza di uscire da rapporti via via sempre più insoddisfacenti e deleteri.

C’è voluta una pandemia per farci capire che l’acqua era bollente e che in pentola eravamo da decenni.

Ci eravamo assuefatti a considerare il malaffare una parte integrante del potere, a rimpiangere addirittura delinquenti del passato, in base all’assurda teoria che “almeno la gente la lasciavano campare bene”. Oggi sappiamo che non era migliore la corruzione di una volta: semplicemente gli ammanchi venivano sopportati meglio quando il portafogli era pieno. Ammanco dopo ammanco, ne abbiamo risentito fino al collasso. Non ci indignavamo più per operazioni spregiudicate della classe dirigente. Chiedere giustizia era considerato giustizialismo o tempo perso.

Oggi sappiamo che la corruzione produce morte: può portare al crollo di una strada, di un ponte, di un edificio, con conseguente numero imprecisato di vittime. Seppur meno visibile di un crollo, anche in ambito sanitario la corruzione produce vittime. Ed è per questo che, a mio avviso, qualora accertata, dovrebbe essere penalmente equiparata all’omicidio. Se ci fosse l’applicazione di questa equivalenza, forse si starebbe più accorti a tagliare fondi alla sanità pubblica, a chiudere ospedali funzionanti e a costruire ospedali fantasma, a fare appalti milionari per presidi sanitari che non arrivano, a infischiarsene della meritocrazia riservando cariche a incapaci. Quando abbiamo rinunciato all’idea di uno Stato governato da persone e non da personaggi? È davvero utopia pretendere che a guidarci sia il pensiero lineare del bene comune, anziché spirali di calcoli e strategie?

Questo non vuole essere un discorso retorico o moralista. Ognuno è libero di vendersi al diavolo, ma venda la propria anima e il proprio corpo, non le anime e i corpi degli altri.


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