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“A Maria Montessori non piace questo elemento”. Se la pedagogista per eccellenza avesse un profilo Facebook, questa sarebbe la sua prima reazione alla notizia che circola da qualche giorno in rete: nella propria descrizione online una scuola di Roma Nord, l’Istituto Comprensivo di Via Trionfale, ha infatti classificato i suoi studenti in base alla loro situazione economica familiare, scrivendo che i due plessi da cui è composta – quello, appunto, di Via Trionfale e quello di Via Assarotti – ospitano rispettivamente i figli di membri dell’alta borghesia e i figli dei loro “domestici”.

Il sito della scuola è piuttosto preciso circa le mansioni dei dipendenti delle famiglie agiate, perché parla espressamente di badanti, colf, autisti e quant’altro, distinguendo così tra “classe medio-alta” e “classe medio-bassa”, la quale tra l’altro, come sempre riportato dal sito, “conta il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana”. In proposito è intervenuta anche l’Associazione dei Presidi, che ha specificato di non aderire alla linea descrittiva adottata dall’Istituto sottolineando quanto la scuola sia il luogo di inclusione per eccellenza, aggiungendo che tali differenziazioni non solo siano diseducative e non diano una buona immagine dell’Istituto in questione, ma rischiano anche di dare adito a divisioni classiste.

Nel pomeriggio di mercoledì 15 gennaio il testo descrittivo dell’Istituto Comprensivo di Via Trionfale è stato tuttavia modificato e non è già più possibile leggere online la sua contestata varietà di alunni. Per quanto tempestiva sia stata la correzione, comunque, la netta settorizzazione dei piccoli studenti ha inevitabilmente messo la descrizione della scuola nella scomoda posizione di sembrare un vero e proprio Vademecum per “indirizzare” correttamente tutti quei genitori intenzionati a iscrivere i propri figli nell’Istituto Comprensivo di Via Trionfale, quasi come se fosse già stata indicata per loro una precisa collocazione al momento dell’iscrizione, una collocazione che non sappiamo se sia peggio dire “naturale” o stabilita negli anni dalla scuola stessa.

La prima cosa che si dice di un’esperienza di vita è che questa “ci cambia”, ci ha cambiati o ci cambierà; la scuola è l’unico posto in cui si entra tutti uguali e si esce tutti uguali. Si entra tutti uguali per imparare le stesse cose e si esce tutti uguali perché tutti hanno imparato le stesse cose – come ciascuno di noi deciderà di usufruire di ciò che ha imparato, fa parte della nostra sfera individuale -. Lo sanno molto bene i bambini, maestri di uguaglianza, ancora troppo piccoli per essere contaminati da dubbie classificazioni sociali ma già abbastanza grandi da poter liberamente scegliere il loro amichetto del cuore, che spesso dura tutta la vita e che potrebbe benissimo essere uno studente del plesso “medio-basso” di Via Assarotti.

Quando ci dicono che le diversità insegnano, è di quelle naturali che si parla, di quelle che fisiologicamente ci distinguono alla nascita e che altrettanto fisiologicamente ci avvicinano sin dai nostri primi reciproci contatti (come per l’appunto accade a scuola), non di quella imposta. Ancor più discutibile è il fatto che la scuola in questione, per identificarsi, abbia ritenuto indispensabile suddividere gli studenti in borghesi e proletari, manco fosse un convegno Marxista. Imporre una diversità significa confinare le personalità in base alle proprie possibilità, sociali ed economiche, condizionarle e costruire un podio di privilegiati.

Insomma, il fatto che l’economia odierna non brilli di efficacia e prosperità non significa che debba per questo ripercuotersi sulle vite dei bambini e ancor più dei genitori che prima di loro, incorrendo nella descrizione della scuola di qualche giorno fa, la leggerebbero comprendendo cosa effettivamente sia alla propria portata e cosa no. Nella mitologia greca si narra che i Titani Crono – il Tempo – e Mnemosyne – la Memoria – fossero entrambi figli di Gea e Urano. Il Tempo e la Memoria, quindi, sono fratelli, e come tali indissolubilmente legati. Ciò vuol dire che non esiste l’uno senza l’altra, che non vi è traccia dell’uno che non lasci il passo all’altra: il Tempo genera Memoria e la Memoria è alimentata dal Tempo.

Siamo in prossimità di quella famosa Giornata della Memoria che tutte le scuole si prodigano ogni anno ad onorare, uno dei pochi eventi della Storia dell’umanità che viene analizzato sotto ogni aspetto: storico, artistico, letterario e anche scientifico. E del resto, forse, quando la crudeltà umana mostra di avere dell’inspiegabile, il solo aggancio che abbiamo per comprenderla è sventrarla di tutti i suoi particolari, esplorandone famelici ogni angolo buio. Una Giornata della Memoria che ha alla base il ricordo di una diversità orribilmente e irripetibilmente repressa, anziché valorizzata; nelle aule verranno proiettati “Il Pianista”, “La vita è bella” o ancora “Il bambino con il pigiama a righe”, proprio lui, quello che oltre le stelle arrugginite del filo spinato stringe amicizia col figlio di un generale nazista, vittime entrambi, alla fine della storia, di quel crudele tipo di “diversità imposta” e non naturale che ci sforziamo di non dimenticare mai. Compito a casa per tutti: spiegare perché due più due faccia quattro, ma faccia quattro anche tre più uno.


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