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I migranti a bordo della Mediterranea

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Nella notte tra il 18 aprile e il 19 aprile 2015, al largo delle coste della Libia, naufragò una imbarcazione eritrea usata per il trasporto di migranti. Il naufragio dell’imbarcazione provocò 58 vittime accertate, 28 superstiti salvati e fra i 700 e i 900 dispersi presunti. Questi numeri ne fecero una delle più gravi tragedie marittime nel Mediterraneo dall’inizio del XXI secolo. L’emozione suscitata da quell’evento fu enorme, tanto da sollecitare un piano di iniziative da parte dell’Unione europea, allora impegnata nell’operazione Triton a cui partecipavano 29 Paesi.

Già il 23 aprile 2015 era stata convocata una riunione del Consiglio dei capi di Stato e di governo allo scopo di definire una linea di politica comune, a carattere straordinario, riguardante la questione dei migranti nel Mediterraneo. Al termine della riunione fu approvata una dichiarazione col quale l’Unione europea affermava di voler prevenire le morti di migranti nel mediterraneo rafforzando: la sua presenza in mare, la lotta contro i trafficanti, prevenendo i flussi migratori illegali e rafforzando la solidarietà e la responsabilità interne. Si fece di tutto anche per recuperare i corpi (molti migranti erano stipati nelle stive e non poterono neanche provare ad uscire), le cui bare furono esposte in un grande capannone, visitato dalle autorità nella commozione generale.

Da quel tragico evento (di naufragi ne sono avvenuti altri) sono trascorsi poco più di quattro anni. Nei giorni scorsi – quando ancora erano fresche le polemiche sulla Sea Watch – un’imbarcazione di fortuna è naufragata al largo delle coste tunisine con un’ottantina di vittime (comprese donne e bambini), nell’indifferenza generale. Sappiamo bene che cosa è successo durante questi anni: la capacità di intervento organizzato dell’Ue si è logorata senza implementare i programmi e finendo per abbandonarli; è scoppiata la polemica con le Ong, accusate senza prove (come poi ha ammesso la magistratura stessa) di connivenza con gli scafisti; sono iniziate le divergenze tra i Paesi europei (il gruppo di Visegrad si è dichiarato indisponibile ad ogni accordo sull’accoglienza); si è scelta la strada della ‘’monetizzazione’’ erogando alla Turchia un pacco di miliardi di euro e negoziando con le tribù libiche il ‘’trattenimento’’ dei profughi intenzionati a varcare con qualunque mezzo il Canale di Sicilia. All’improvviso l’ostilità verso le migrazioni ha soppiantato quella nei confronti dei mussulmani (ricordate le polemiche che accompagnavano la costruzione delle Moschee e le teorie secondo le quali non esistevano mussulmani moderati?) ed è divenuto il comburente sul quale hanno prosperato (in Italia, purtroppo vinto) i movimenti populisti.

Matteo Salvini, da plenipotenziario del governo e della maggioranza, è volato nelle urne e pare, secondo i sondaggi, acquisire ancora maggior consenso. Al Capitano basta trovare il momento opportuno per sollevare un ‘’caso’’ e farne il paradigma della violazione dei confini di cui si erge – a giorni alterni – difensore, nonostante che nei porti e sulle spiagge meridionali sia continuo e pressoché quotidiano l’approdo di migranti dall’Africa che riescono a sottrarsi alla ‘’custodia’’ nei campi di concentramento libici (di cui conosciamo la brutalità anche se preferiamo non farci caso).

Siamo arrivati al punto che i clandestini corrono meno rischi (a parte quello di naufragare) affidandosi agli scafisti piuttosto che accettare il soccorso di una nave di una ONG. Un giornalista, famigerato per il suo radicalismo, ha addirittura pubblicato un post dicendo che non si deve più parlare di salvataggi ma di trasbordo di passeggeri. Del resto tutta la politica, legislativa ed amministrativa, del governo (ovvero di Salvini) è stata rivolta a colpire le esperienze di accoglienza e i tentativi di integrazione, anche a costo di peggiorare le condizioni dei migranti e delle stesse comunità. Si pensi all’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari che ha sbattuto sulla strada esseri umani che lavoravano, andavano a scuola e comunque erano associati a progetti di inserimento. Si pensi ancora al taglio delle rette (condotta facendo leva sull’invidia sociale seminata nell’opinione pubblica) in modo da consentire uno stentato mantenimento ma da precludere ogni programma di integrazione.

Tutto ciò in un contesto propagandistico che accomuna i profughi ai delinquenti e agli scrocconi. Ma la cosa sorprendente – e inaccettabile – è come sia potuto accadere tutto questo nel giro di alcuni anni; come sia stato possibile incutere in tanta parte dell’opinione pubblica sentimenti di ripulsa e sostanzialmente di odio per dei poveracci che meritano almeno un po’ di comprensione e di pietà, che hanno scritto sul proprio volto le sofferenze a cui sono stati sottoposti. Nessuno si è mai messo nei loro panni e chiesto che cos’altro potrebbero fare? Ormai sembra che alla gente non importi più nulla dell’economia, del fallimento delle politiche strombazzate nel contratto di governo, dell’accettazione (per fortuna) supina dei richiami della Ue a stare alle regole. L’onore dell’Italia risiede tutto nell’esito della battaglia navale con qualche scafo delle ONG.

Ci sentiamo ‘’patrioti’’ quando il Capitato riesce a far accettare a qualche altro Paese, un pacchetto di migranti sbarcato sulle nostre coste. Ormai non ci sono più limiti all’intolleranza. In un talk show televisivo una nota parlamentare europea ha proposto di costruire una grande piattaforma in mezzo al Mediterraneo dove sbarcare tutti i migranti soccorsi in mare. Ironia della sorte, non si è ricordata che una delle prime soluzioni architettate da Hitler (ne parlò anche con Mussolini) per risolvere la questione degli ebrei in Europa fu quella di deportarli tutti in Madagascar. Poi, vista la difficoltà dell’operazione, si pensò di sterminarli. Una cosa per volta. Un passo dopo l’altro.


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