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Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

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Ha citato il verso di Ungaretti “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie” per spiegare la precarietà del governo in questo difficile tornante. Così il premier Conte da Hanoi, che peraltro, alla luce di quel che si sta profilando avrebbe anche potuto aggiungerci un’altra citazione da quelle stesse poesie scritte da Ungaretti al fronte della Prima Guerra Mondiale: “La morte si sconta vivendo”. In questo caso ovviamente la morte è la metafora della crisi politica incombente che il presidente del Consiglio sconta dovendo tirare ad andare avanti perché la via d’uscita di una fine onorevole dell’esperienza del suo esecutivo gli è preclusa. Sciogliere la legislatura, perché questo sarebbe l’esito quasi obbligato di una caduta dell’attuale governo, non si può almeno sino a metà luglio. Del resto nessuno dei due capi della sua maggioranza mostra per ora alcuna voglia di dare la spallata necessaria: troppo rischioso sia a livello di immagine sia a livello di incertezze su quel che verrà dopo. Allora per intanto avanti, anche se a qualche modo.

Conte sta davvero camminando su fune scivolosa senza alcuna rete di protezione. Consapevole che la sua posizione è delicatissima mette in atto una strategia di presenza pubblica che possa corroborare una immagine di reale capo del governo. Molte delle sue ultime uscite sono state improntate ad allontanare da sé l’impressione del presidente senza qualità: ha messo in mora i suoi vice, ha più volte sottolineato il suo orientamento al servizio del paese e non dei partiti (smentendo un suo speciale legame coi Cinque Stelle), ha ricordato la consapevolezza che ha del suo ruolo istituzionale e del nesso che questo comporta con il Presidente della Repubblica. Tutti atti opportuni e dignitosi di cui non si può che compiacersi.

Sono essenziali per Conte per poter gestire con dignità la sua presenza nel delicato contesto dei vertici europei di questo periodo. Non c’è ovviamente solo la questione, spinosa e assolutamente centrale, del negoziato sui nostri conti pubblici. E’ altrettanto importante avere un qualche spazio sia nella distribuzione dei ruoli nella nuova Commissione che si andrà a formare (inclusa la designazione del posto e della persona che spetterà all’Italia) sia nel dibattito che si sta avviando sulla successione a Draghi al vertice della BCE. Il problema è se Conte sarà in grado di rendere credibile questa rinnovata veste di autorevolezza a fronte di quel che nel frattempo accade nella politica italiana.

E’ qui che le cose diventano molto ardue. Il premier ha intimato ai due vice di starsene un po’ buoni o almeno di moderare le parole. Non sembra stia avvenendo. Salvini sta procedendo imperterrito nei suoi attacchi alla UE che sbaglia tutto e proclama che andrà avanti a fare l’opposto di quel che Bruxelles ci chiede. Di Maio, dopo qualche tentennamento iniziale, ha preso ad andargli dietro denunciando anche lui quelle che vede come le miopie dei vertici UE. E’ solo perché domenica si vota ai ballottaggi e dunque bisogna concedere ancora un poco di “vacanza” ai capi partito divenuti anche vicepremier?

Questo è quanto a volte sembra voler far credere Conte, sicuro che da lunedì le cose si metteranno a posto. Lo smentisce però il fatto che dopo aver detto da Hanoi mercoledì che lui non era disposto a vivacchiare, giovedì ha specificato che si andrà a trattare con la Commissione Europea senza toccare né il reddito di cittadinanza né quota 100, cioè i santuari dei due dioscuri. Naturalmente si darà soddisfazione ai rilievi tagliando altre spese, ma niente servizi, welfare, ecc. Queste affermazioni non spengono i dubbi sulla tenuta del premier a fronte dei capi della sua maggioranza. E’ comprensibile, perché è la condizione per poter far durare il governo, ma è anche la prova che i penultimatum ai suoi vice non vanno oltre una richiesta di moderazione se per caso quelli volessero dargli ascolto. Il governo al momento farebbe fatica a cadere e Conte non può permettersi di essere lui quello che stacca la spina. Per questo deve scontare la sopravvivenza obbligata concedendosi al massimo qualche scatto di discorso che richiama alla dignità del suo ruolo e alla serietà del momento.


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