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Falcone e Borsellino

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Ho visto come un milione di italiani il dibattito che ha fatto seguito al film La Trattativa, di mia figlia Sabina Guzzanti, andato in onda giovedì su RaiDue. Il dibattito è stato molto lungo e quasi impossibile da seguire per chi non fosse un cronista giudiziario, ma non è questo il punto che voglio sottolineare. Ciò che dal mio punto di vista di giornalista ed ex Presidente di una Commissione bicamerale d’inchiesta interessa è la questione centrale: per quale motivo tuttora ignoto l’ex procuratore Giovanni Falcone, diventato direttore delle carceri per il veto comunista al vertice antimafia, fu assassinato? Perché? Nessuno risponde.

OMICIDI  PER NECESSITÀ

 Naturalmente le parole si sprecano, ma sono parole di panna montata: Falcone era il nemico della mafia, Falcone aveva organizzato il maxiprocesso, Falcone era il nemico da uccidere. Balle. Cosa Nostra, come ogni grande organizzazione criminale, non ricorre mai all’omicidio di figure eccellenti se non ci è costretta per gravissimi e attualissimi immediati motivi. L’idea che Falcone fosse stato ucciso come per un Oscar alla carriera, fare molto rumore e spargere molto sangue come uno show macabro, è privo di significato. 

Quando la mafia uccide, e non solo d’estate, lo fa per assoluta necessità e mai per vendetta o ripicca. La mafia è un’azienda che fa profitto, non una confraternita della buona e della cattiva morte. Quando la mafia, ma diciamo più precisamente Cosa Nostra, uccide (uccideva) ci deve essere trascinata per i capelli, calcolando i danni futuri in termini economici e in termini di ricadute giudiziarie, di fronte a uno Stato animato dal desiderio di giustizia ma anche di vendetta. Nessuno finora ha saputo o voluto spiegare per quale preciso, imminente pericolo Giovanni Falcone, non più procuratore e fuori dal gioco, dovette essere eliminato. 

MA IL MOVENTE?

Su questo punto, lo ripeto, nessuno fiata, ma tutti si rifugiano nella generica retorica dell’eroe antimafia barbaramente trucidato, il che è vero ma non dice quale sia il movente. Punto secondo: nessuno affronta l’argomento connesso: il genere assolutamente inedito di omicidio con una operazione tipicamente militare. Diceva dalla gabbia degli imputati uno dei detenuti durante il processo a un giornalista: «Ma vi pare a voi, dottore, che quattro straccioni come noi potevamo fare una cosa del genere di quella di Capaci?». 

UN MESSAGGIO DI MINACCIA 

La mafia quando è determinata (perché costretta) ad eliminare un nemico, ha due strade. Sopprimere silenziosamente o sopprimere vistosamente. L’antica mafia metteva in bocca al morto i genitali tagliati se aveva commesso sbarri sessuali, o un pesce se aveva parlato, o un sasso. Nel caso di Falcone superprotetto non poteva certo rapirlo e scioglierlo nell’acido, ma avrebbe potuto attentare alla sua vita a Roma dove viveva. Comunque sia, chi uccise Falcone volle intenzionalmente ottenere due scopi: la sua eliminazione fisica e l’invio di un messaggio di minaccia e di onnipotenza ai destinatari. Chi sarebbero questi destinatari? Nessuno ne parla.

IL LAVORO SPORCO RUSSO

 Salvo il procuratore generale russo dell’epoca Valentin Stepankov che guidava le indagini “follow the money” per scoprire i percorsi del tesoro della morente Unione Sovietica avviato in Italia (e in parte in Germania mi disse il presidente Cossiga) per essere riciclato con il pagamento di una gigantesca tangente per una somma che non hai avuto l’uguale, e rientrare in Russia per finire nel portafoglio di alcuni oligarchi committenti. Cosa Nostra c’entrava e come, dunque (se l’ipotesi di cui parlo ha senso e purtroppo ne ha) perché una parte del lavoro sporco affidatole sarebbe stato il riciclaggio dell’enorme tesoro ex sovietico e poi russo.

Parliamo, se fosse vero, di cifre impensabili, con percentuali di profitto altrettanto impensabili. Voglio tranquillizzare il lettore e anche il direttore di questo giornale: io non ho alcun titolo per affermare che le cose andarono così, ma mantengo il titolo di testimone. E come testimone del racconto di Cossiga (di cui c’è una traccia alquanto sbiadita di questi fatti nelle sue memorie, comunque verificabile e sono ancora vivi e vegeti almeno due dei protagonisti) io mi limito ad osservare che non risulta che un tale filone sia stato minimamente preso in considerazione dai magistrati inquirenti. Ciò che è clamoroso è proprio questo: nessuno ne parla, benché gli eventi siano arcinoti e più volte descritti. Valentin Stepankov, l’uomo con cui Giovanni Falcone lavorava sotto copertura per conto del presidente Cossiga e del presidente del Consiglio Giulio Andreotti, è un personaggio noto alla cronaca italiana perché venne in Italia per testimoniare su richiesta dei magistrati che indagavano sui finanziamenti sovietici al Pci e sulle varie ipotesi di collegamenti fra il Pcus e il terrorismo italiano delle brigate rosse. Stepankov disse cose, era il giugno del 1992 e Falcone era stato ucciso da un mese, che il gruppo dirigente del Pci, compreso Enrico Berlinguer fossero stati consapevoli e attivi nel chiedere l’addestramento speciale di alcuni militanti comunisti a Mosca. 

STEPANKOV E I COMUNISTI

Le affermazioni di Stepankov, che includevano anche Luigi Longo, Armando Cossutta e Ugo Pecchioli, fecero molto scalpore e provocarono reazioni animatissime. Ma nel corso della conferenza stampa che Stepankov fece nell’ambasciata russa di via Gaeta a Roma disse qualcosa di cui pochi colsero il senso, anzi nessuno: «I documenti relativi ai finanziamenti e al resto di cui si occupa ora la magistratura italiana sono stati tutti da me consegnati alla Procura di Roma così come era stato richiesto dal giudice Giovanni Falcone durante una sua recente visita a Mosca».  «Durante una sua recente visita a Mosca», questa è la parola chiave. La seconda parola chiave sta nella data: un giorno imprecisato dello stesso 1992, visto che era “recente”. 

COPERTURE DIPLOMATICHE 

Falcone non era più un magistrato inquirente ma era a Mosca per un lavoro coordinato con Stepankov al quale consigliò come comportarsi con documenti utili alla Procura di Roma per l’inchiesta sui fondi segreti del Pcus. Andreotti mi confermò di aver fatto provvedere lui stesso le coperture diplomatiche a Falcone per le sue trasferte in Russia seguendo il fiume del denaro e i suoi rivoli. Andreotti promise allo storico e giornalista Giancarlo Lehner i fonogrammi della Farnesina da lui stesso autorizzati per coprire le missioni segrete di Falcone a Mosca, ma poi gli telefonò per dirgli: «Fossi in lei, lascerei perdere. Alla Farnesina dicono di non essere in grado di rintracciarli e alla Farnesina non si perde neanche una cartolina illustrata. Brutto segno. Lasci stare». Io non ho alcuna verità alternativa in tasca, ma vorrei sapere: chi ha indagato su questa storia? Come mai non se ne parla mai e si seguita a far finta che Falcone sia stato ucciso dalla mafia brutta sporca e cattiva soltanto perché lui era buono, bravo ed eroico.


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