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Come si può andare avanti così? La domanda è più o meno sempre quella e squassa la maggioranza. L’altalena è continua: un momento le due prime donne del governo, Di Maio e Renzi, alzano i toni, poi interviene Conte, si fa sentire il PD, e sembra che le tensioni rientrino nell’attesa di arrivare all’approvazione della legge di bilancio e di approdare a quel gennaio in cui ci si metterà a scrivere l’agenda, il crono programma o quant’altro si voglia immaginare come pietra filosofale per dar compattezza ad una maggioranza che non riesce a trovarla.

Certo il quadro continuamente mutevole della situazione italiana non aiuta. Nessuno sa più davvero oggi cosa si muova nelle viscere profonde della società. Il fenomeno del tutto inatteso delle cosiddette sardine ha messo in dubbio la lettura di una montante vittoria delle destre. Naturalmente è superficiale dedurre dall’apparire di una sola rondine che siamo già in primavera, ma rimane che ci sono segnali inattesi.

SALVINI DIMEZZATO

Salvini è oggi ridimensionato, non tanto da qualche punto percentuale perso nei sondaggi, quanto dal mutare del clima che gli chiede una revisione della sua strategia comunicativa. Se ne vede qualche accenno, soprattutto nella gestione della campagna elettorale in Emilia, anche se tutto va inquadrato nel clima pre-natalizio che certo non spinge nella direzione di usare toni troppo accesi (vedremo se continuerà dopo).
Accanto a ciò c’è la crisi di M5S che ora sembra trovare una sistemazione con il varo di un fantasioso team del futuro. Naturalmente questo spinge Di Maio a non rinunciare all’affermazione della sua presenza negli unici termini che sembra conoscere, cioè nell’addobbare con le solite bandierine rituali qualsiasi argomento arrivi sui tavoli del governo. Lo si è visto anche in questi ultimi giorni con la vicenda della Banca Popolare di Bari, quando non ha saputo fare a meno del solito ricorso al giustizialismo mediatico (denunciare pubblicamente questi e quelli) e al rinvio alle “nazionalizzazioni” come ricetta salvifica.

LA STORIA DI RENZI

Con questa vicenda si è intrecciata, anzi sarebbe da dire attorcigliata la storia di Renzi e del suo Italia Viva. Il senatore di Rignano si è trovato presto a fare i conti con necessità di presenza che forse non immaginava. Non ha infatti trovato quel riscontro spontaneo di opinione pubblica che nella sua visione doveva arrivargli automaticamente per la supposta deviazione a sinistra del PD, sicché si è accesa una spirale di interventi ostruzionistici, taluni comprensibili altri no, giusto per far pesare la propria capacità di interdizione.

PD IN DIFFICOLTÀ

Il Pd in questo contesto si è trovato ad essere sempre più in posizione difficile. Da un lato ha spinto per acquisire la posizione della componente ragionevole che tiene in mano la barra del timone governativo, trovandosi però in difficoltà con il Presidente Conte, che ambirebbe ad apparire lui solo l’elemento di stabilità e che di conseguenza stenta a distinguersi con decisione dai Cinque Stelle senza peraltro poterli considerare dei partner affidabili. Dal lato opposto ha dovuto cercare di ridefinire la sua identità oscillando fra una rincorsa ai linguaggi di una sinistra di maniera e la strategia di un allargamento del proprio bacino elettorale con inserzioni in liste elettorali più o meno parallele di personaggi presi dalla cosiddetta società civile.

Questo contesto genera l’instabilità notevole del quadro politico italiano attuale. Esso è naturalmente molto complicato da un sommarsi di problemi che non erano di per sé preventivabili al momento del varo della nuova maggioranza. Crisi come quelle dell’ex Ilva, il precipitare della crisi Alitalia, ora la vicenda della Popolare di Bari, tanto per citare i casi più eclatanti hanno inquadrato in una prospettiva diversa la vicenda politica che era stata dominata all’inizio dalla necessità di portare all’approvazione della legge di bilancio evitando il trauma di uno scioglimento anticipato della legislatura. Nessuno crede più che superate le forche caudine dell’approvazione di quella che una volta si chiamava “la finanziaria” la situazione possa decantarsi.

VOTO IN EMILIA

Non è solo questione dell’esito che avranno le regionali di gennaio, dove peraltro ci saranno da interpretare questioni più complicate della banale faccenda di verificare se ha vinto la desta o la sinistra. In Emilia Romagna già ci si interroga ad esempio se la lista direttamente facente capo a Bonaccini supererà o meno e di quanto in termini di consensi la lista del PD. Poi si dovrà vedere quali saranno i rapporti tra la Lega e FdI così come saranno certificati da quelle urne. Così in Calabria sarà da interpretare cosa uscirà da quello che appare come un conflitto piuttosto esteso fra gruppi di potere locali prima ancora che fra partiti.

Certo l’impasse che sembra si stia avviando sulla riforma elettorale non dà buone speranze, mentre rimane di difficile interpretazione l’offerta, un poco nebulosa in verità, di avviare una sede di confronto tra le grandi forze di maggioranza e di opposizione per far fronte ad una situazione nazionale che si comincia a capire (speriamo) non risolvibile sulla base di un semplice scontro di slogan.

UNIONE ATIPICA

Salvini si fa promotore della proposta, cosa che naturalmente gli serve per riequilibrare la sua immagine barricadiera, ma la risposta della maggioranza al momento sembra essere negativa, perché la “grande intesa” suppone come conseguenza di andare poi alle elezioni, cosa che da quelle parti attira poco. Eppure rifiutare una sorta di atipica unione nazionale in un paese sempre più preoccupato per una crisi di cui non si vedono gli sbocchi è per le forze di governo, molte in condizioni poco brillanti, una scelta rischiosa, altrettanto almeno di ciò che comporterebbe l’assaggio della mela potenzialmente avvelenata che viene loro offerta dal leader della Lega,


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