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Comincia una nuova stagione: Non ci sarà alcun passaggio brusco. Anche in politica, come nelle stagioni atmosferiche, le fasi di transizione sono caratterizzate dall’alternarsi di momenti in cui si vede arrivare la nuova e momenti in cui la vecchia stagione non molla la sua presa. Passo dopo passo è però la nuova stagione che prenderà il sopravvento.
Le elezioni in Emilia Romagna e in Calabria confermano che siamo in piena transizione e che è illusorio pensare di stabilizzare indefinitamente una fase di passaggio rimanendo nel limbo: non funziona così. Lasciamo perdere per un momento chi ha vinto e chi ha perso nel confronto sull’elezione del “governatore” per la prossima legislatura. Non che sia indifferente: ci torneremo, ma cominciamo da una analisi delle tendenze di fondo.

Innanzitutto si è confermata la forza di una impostazione bipolare della contesa elettorale: ha portato più gente alle urne e il voto si è concentrato su due contendenti che rappresentavano polarità opposte. Ne discendono due conseguenze che sarebbe bene non sottovalutare. Quella più banale è che è inutile pensare che resuscitando un sistema elettorale piattamente proporzionale si possa cancellare questa tendenza. Al massimo si può indebolire quella delle due componenti che non abbia trovato un leader egemone. Piaccia o meno indebolisce in questo momento la sinistra perché la destra quel personaggio l’ha trovato e si è già accreditato. Lo dimostra la quantità di consenso che ha raccolto, ma soprattutto il fatto che ha imposto se stesso come centro del confronto politico e gli altri hanno dovuto accettare di battersi direttamente con lui.

La seconda conseguenza è più preoccupante. Il bipolarismo attuale non rappresenta due diverse interpretazioni di un medesimo contesto, ma due visioni antitetiche. Quello che si era già appalesato con lo scontro fra berlusconiani e antiberlusconiani, adesso si è radicalizzato oltre misura: non si tratta più, come in fondo era stato, di una spaccatura basata su fantasie mitologiche (comunisti vs. anticomunisti), ma di una lacerazione profonda della pubblica opinione. C’è dunque da chiedersi come si farà a far funzionare un paese come il nostro che ha tanti gravi problemi da risolvere, in primis nel confronto internazionale, se non esisterà più un terreno di confronto possibile e di sintesi fra due grandi componenti che lo spaccano. Tanto per dire: come si eleggerà un presidente della repubblica che rappresenti l’unità del paese se la scelta sarà ridotta ad un confronto fra opposte radicalizzazioni?

E’ illusorio dire che ieri si è trattato di due elezioni “regionali”. Sono state presentate, vissute, interpretate come verifiche di un trend di mutazione che interessa la nostra politica. Era la pura verità, contornate come erano da una continua fibrillazione che dalle elezioni del marzo 2018 ad oggi hanno interessato tutto il nostro quadro politico. Del resto vorremmo ricordare che già altre volte le elezioni amministrative (comunali e/o regionali) sono state antesignane dei cambi di stagione nella politica nazionale: basterà ricordare le cosiddette “giunte difficili” agli albori del centro-sinistra o la svolta alle regionali del 1975, che segnarono oltre che il prodromo della solidarietà nazionale, l’avvio della perdita di egemonia esclusiva della DC.

Dunque è a partire da queste considerazioni che va fatta la prima analisi dei risultati che sembrano emergere dalle urne, per quel tanto che possiamo capire dovendo per ovvi motivi scrivere sulla base di exit poll e prime proiezioni. Paradossalmente Salvini in Emilia Romagna ha fatto tutto lui: ha portato il centrodestra a raggiungere ad un risultato notevole (incluso quello specifico della Lega) e al tempo stesso con la sua scelta di spingere la propaganda ai limiti sia della retorica destrorsa sia della spettacolarizzazione provocatoria lo ha chiuso in un recinto in cui l’opinione più responsabile non poteva entrare. Così si è condannato a non poter fare quel salto decisivo a cui puntava. E’ quasi la ripetizione di quel che aveva combinato nella crisi dello scorso agosto.

Peraltro in vista delle prossime elezioni regionali non si può dire che dalle urne emiliane arrivi un cambio di tendenza globale, anche tenendo conto che allora si voterà anche in regioni dove la Lega è ben piazzata. Insomma la partita rimane aperta, anche tenendo conto che Salvini sfonda al Sud in Calabria, cosa non secondaria per il suo accreditamento come partito a tutti gli effetti nazionale.

Bonaccini vince, forse con un certo margine, per un mix fra la sua credibilità come buon amministratore e un rigetto militante negli elettori emiliano-romagnoli del sovran-populismo salviniano. Significa che si sono unite la tenuta di un blocco sociale meno scalfito di quel che si poteva pensare (lo dimostra il sostegno che ha avuto anche da vari ambienti delle classi dirigenti regionali che tradizionalmente non era simpatetiche con la sinistra) con la tradizione della lotta angeli contro demoni che ha ancora un suo radicamento nella cultura diffusa di questa regione (il fenomeno delle sardine, che mette al primo punto l’antifascismo, va letto in quest’ottica).

Per avere veramente il quadro della situazione futura bisognerà attendere i dati dei consensi che sono andati ai partiti, ma intanto sembra chiaro che i candidati governatori sia di M5S che della tradizione della sinistra estrema non hanno raccolto consensi significativi, il che conferma ulteriormente la polarizzazione bipartitica del quadro complessivo.
In definitiva, come primo ragionamento si può proporre che tanto a Salvini e al centrodestra, quanto al PD, e in subordine tanto ad IV quanto a LeU, pur rimasti prudentemente nascosti in queste competizioni, si impone un ripensamento delle rispettive strategie e posizionamenti. Il che conferma che, come si diceva, dobbiamo prepararci ad un cambio di stagione in cui pensiamo non ci sarà posto per mediatori, terze forze, facilitatori vari e quant’altro.


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