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Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio

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Lasciate stare Andreotti, Mattei, Craxi: già è troppo, basterebbe un qualunque ministro doroteo è già andrebbe meglio.

L’Italia conta sempre meno anche alle porte di casa. Un drone italiano è stato abbattuto in Libia ma non è ancora chiaro da chi. Come da tempo non è chiaro cosa facciano 300 militari italiani a Misurata, ufficialmente a guardare le barelle di un ospedale militare. Come non è chiaro cosa fa il governo che ha rinunciato a incontrare il ministro della difesa di Mosca perché gli italiani non sanno cosa chiedere ai russi.

Per la verità gli italiani hanno bombardato Gheddafi nel 2011 anche se era il loro maggiore alleato e lo avevano riempito di salamelecchi a Roma soltanto sei mesi prima. Verrebbe da dire: chiudiamo bottega e torniamo a casa che si fa migliore figura.

Tra poco verrà convocata la conferenza internazionale sulla Libia, ma non in Italia, a Berlino. Un’altra dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, che non abbiamo neppure una diplomazia, non perché non ci siano i buoni diplomatici ma perché il ministro degli Esteri Luigi Di Maio è un confuso ectoplasma che nessuno sa dove sia. Così il ministero, lasciato in mano ai funzionari, non ha una direzione politica che goda della reale copertura del governo.

Eppure qualche decisione viene presa perché ai primi di dicembre è previsto l’arrivo a Roma del ministro degli Esteri russo Lavrov, accompagnato, almeno così sembrava in partenza, anche dal ministro della Difesa. Qualche giorno fa la diplomazia italiana ha fatto sapere a Mosca che l’incontro con il ministro della Difesa non ci sarà “perché non abbiamo niente da dire”. Speriamo che si tratti soltanto di una battuta che ho ascoltato al bar perché in realtà di cosette da chiedere ai russi gli italiani ne avrebbero, visto che Mosca sostiene il generale Haftar, il nemico del governo di Tripoli di Sarraj e lo sta stringendo d’assedio da mesi. Non solo. La Russia è coinvolta più o meno direttamente sul terreno perché ci sono mercenari di compagnie russe al fianco del generale della Cirenaica che è sostenuto anche da Emirati, Egitto e Francia. Persino i libici di Tripoli hanno deciso di muoversi e recentemente hanno inviato a Parigi il vicepremier Meitig che rappresenta oltre al governo di Tripoli anche Misurata, città stato decisiva per tenere in piedi la fragile compagine tripolina ostaggio di milizie radicali e fazioni.

E noi cosa facciamo?

Abbiamo rinnovato di fatto il controverso accordo sui migranti con la Libia ma in realtà avremmo dovuto dire “l’accordo con Sarraj”, il capo di un governo che noi abbiamo messo a Tripoli ma che rappresenta poco più di sè stesso. Se è vero che il flussi dei migranti sono calati è anche vero che gli scafisti e i trafficanti continuano indisturbati i loro traffici, svolti con la complicità dei capi delle milizie e della stessa guardia costiera che l’Italia foraggia e finanzia. E’ chiaro che il problema è la credibilità di un governo di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite ma al quale nessuno dà il minimo di fiducia se non la Turchia e il Qatar che appoggiano i Fratelli Musulmani e li riforniscono di armi.

Gli stessi americani quando in aprile cominciò l’offensiva di Haftar – per altro non un genio militare – hanno imbarcato i marines e se ne sono andati. Ora fanno finta, ogni tanto, di difendere i governo tripolino ma in realtà sperano forse che la Russia sistemi anche la faccenda libica come ha fatto, in parte, con quella siriana perchè agli Usa di Trump delle beghe tra arabi e delle nostre non ne vogliono più sapere anche se le hanno scatenate e alimentate.

I nostri governanti avrebbero dovuto avere mangiato la foglia quando è venuto a Roma il segretario di stato Pompeo il quale non si è degnato neppure di fare pubblicamente un cenno alle difficoltà che derivano all’Italia dal caos libico che gli Usa hanno provocato nel 2011 con Francia e Gran Bretagna e di cui noi siamo stati poi complici. Gli Usa ci dicono solo chi dobbiamo o non dobbiamo incontrare e noi eseguiamo il compitino come scolaretti.

In realtà i nostri hanno assunto l’atteggiamento ambiguo degli Usa come un incoraggiamento a non fare niente di concreto, a “tenere le posizioni” mentre gli altri fanno politica estera, decidono le mosse sul terreno, convocano conferenze e preparano agli scenari futuri. Il nostro Paese sta rapidamente scomparendo dal quadrante libico dove chiunque, da Haftar in giù, ci prende in giro. Chiudiamo bottega, è meglio.


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