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Effetto sardine? È quel che si chiedono in molti di fronte al massiccio schieramento di militanti sulla piattaforma Rousseau a favore di un partecipazione di M5S alle regionali in Emilia Romagna e in Calabria. Massiccio schieramento fino ad un certo punto, perché, se i dati sono esatti, ha votato un po’ meno di un terzo degli aventi diritto, ma invece schieramento massiccio contro l’indicazione di Di Maio perché il 70% dei votanti la pensa diversamente da lui. Dunque una novità da interpretare.

L’INCOGNITA RESTA

E’ probabile che di fronte al successo della chiamata alle piazze delle “sardine” i militanti Cinque Stelle abbiano pensato che era necessario non finire cancellati dal loro tradizionale terreno, che era un misto di internet e di piazze. Tuttavia non può sfuggire che questa voglia di tornare ad esserci coinvolge, almeno a stare alla partecipazione a questo sondaggio, una quota limitata di militanti, sicché rimane poi tutta l’incognita di cosa faranno gli elettori del MoVimento che sono in numero ben maggiore.

Anche se per esempio in Emilia la loro performance alle europee era ferma ad un modesto 13%, c’è da chiedersi se quella percentuale rimarrà intatta dopo le giravolte di questi ultimi mesi: ove non accadesse, come è probabile, dove andranno gli elettori delusi? Facile dire: una parte nell’astensione, una parte nel centrodestra, una parte nella sinistra. Il problema è quale sarà il peso di ciascuna di queste “parti”, perché è da questo che può dipendere il risultato finale dello scontro fra Bonaccini e la Borgonzoni.

Diversa la situazione in Calabria dove alle Europee M5S sfiorò il 27% risultando il primo partito. Qui può fare la differenza, può pesare di più tanto una eventuale significativa contrazione di quella percentuale, quanto un suo consolidamento. Mettere insieme quel che emergerà dalle urne delle due regioni per darne una interpretazione univoca non sarà semplice e ciò probabilmente allargherà i dissidi interni ai Cinque Stelle.

Questo è però solo un lato, per quanto importante, della medaglia. Lo scossone nel movimento è già partito, Di Maio è sotto attacco senza che peraltro emerga un vero competitore che possa agevolmente aspirare al suo ruolo (che peraltro è sottoposto al gradimento/investitura del solo Grillo). Ciò significa che la componente pentastellata nel Conte 2 non ha al momento una guida, anzi deve marciare con l’occhio più alle risse interne che all’efficienza del lavoro governativo.

LE BANDIERINE

Una mina vagante, se si pensa non solo alle varie bandierine pentastellate che a questo punto diventano essenziali (Ilva, Atlantia, ecc.), ma soprattutto alla questione cardine della riforma giudiziaria. Bonafede è un uomo della cerchia di Di Maio, a meno che non si stia sganciando adesso, ma anche se così fosse il caos attuale lo spinge ancor più ad arroccarsi sulla sua posizione circa il tema della riforma della prescrizione, una misura della quale probabilmente deve rendere conto anche a settori della magistratura che hanno scommesso su di lui.

La faccenda è particolarmente grave proprio perché al momento, come abbiamo scritto più volte, il governo non può cadere, per via della questione della legge di bilancio. Ciò significa avere un esecutivo che tirerà avanti senza poter affrontare in maniera adeguata i problemi che ha davanti, ma soprattutto che sarà sempre meno credibile perché crescerà l’aspettativa che sia ormai sul viale del tramonto. Chiaramente così i partiti saranno tutti spinti a lavorare nell’ottica di fortificarsi in vista del prevedibile sbocco elettorale: varrà tanto per i partiti di governo quanto per quelli di opposizione, ma anche, ed è un dato che non andrebbe sottovalutato, per tutti i tentativi, più o meno convincenti che siano, di preparare nuove forze alternative all’attuale quadro politico. Chi ha qualche frequentazione di ambienti economici, sociali e culturali che si trovano in posizione di partecipazione ai dilemmi di una classe dirigente, sa bene che di questo si discute più o meno fumosamente.

Insomma se fino a ieri ci si poteva illudere che fosse eccessiva la pretesa di Salvini e del centrodestra di trasformare le regionali di gennaio in un test sulla tenuta dell’esecutivo, ci si dovrà ricredere. Per come si stanno mettendo le cose è quasi certo che sarà così. Che poi questo significhi con assoluta certezza che si andrà ad elezioni anticipate non è ancora detto.

GOVERNO E DECLINO

I Cinque Stelle rimangono il partito parlamentare più forte e bisognerà vedere come si comportano dopo l’esito delle regionali combattute con queste modalità e vissute nel quadro di una campagna elettorale che vedrà fuoco e fiamme e nel contesto di un governo che declina. Possono disperdersi in molti gruppi, o solo in alcuni, e bisognerà vedere come questi si schiereranno nella ricerca di una nuova maggioranza di governo che eviti loro un confronto con le urne che non crediamo potranno auspicare.
Ci attendono mesi complicati in cui si potranno avere sorprese. Per esempio si vedrà come si comporta Conte di fronte al terremoto interno ai Cinque Stelle, cosa faranno Grillo e Casaleggio, come il PD reagirà al venir meno della scommessa sulla evoluzione della maggioranza attuale in una alleanza strategica, come ne approfitterà Renzi. E’ tutto ancora molto fluido e per una valutazione più approfondita dovremo aspettare l’evolversi della situazione già nella prossima settimana.


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