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Le spettrali vie di Milano deserte per il “coprifuoco” causato dall’allarme per il Coronavirus

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Non è passato neppure una settimana dall’annuncio di un contagio -con tanto di quarantena e città con locali e uffici vuoti e assediata dal silenzio- che i lombardi, di tutta quest’inattività, si sono già rotti le balle.

Mentre il governatore Fontana si auto-mette in quarantena e produce i suoi collegamenti televisivi dietro una mascherina, il resto della popolazione si ribella a questo clima spettrale che sta incrinando un’economia già scricchiolante di suo (l’Istat ha certificato un calo dell’export regionale agganciato alla Germania di un paio di punti). I lombardi hanno il motore frenato. Chi -come il sottoscritto- cosparso di amuchina e avvolto nelle mascherine, lavora in smart working, cioè da casa, non ce la fa più a sopportare la pressione di mogli anch’esse in smart working e di figli evasi da scuola e agli arresti domiciliari. I negozianti, perfino quelli cinesi, abbassano le saracinesche o filtrano i clienti talora svincolando i coprifuoco come durante la guerra.

Gli imprenditori sono incazzatissimi, e attraverso il presidente di Assolombarda Carlo Bonomi denunciano: “Fermare la Lombardia, che era già in forte rallentamento – ha detto – significa frenare oltre un quinto del Pil italiano e dare un duro colpo a tutta la filiera dell’industria, che rischia di impiegare mesi a recuperare lo svantaggio economico con il resto del mondo.

Qui lavorano un quarto degli addetti del manifatturiero italiano, da cui deriva oltre il 27% dell’export nazionale”. Non hanno torto. Quotidiani, come Libero e Il Giornale, vicini alla borghesia milanese e alla gens produttiva autoctona, dicono: “Basta esagerare il coronavirus non va trattato come la peste”. I medici sono incazzatissimi perché, invece di ringraziarli dell’enorme mole di lavoro a cui si sono dedicati anima e couer, si vedono ora aprire un’inchiesta dalla Procura di Lodi, suggerita indirettamente dal premier. E ben 81 sindaci del territorio, in una petizione, chiedono a Fontana di porre fine allo stato d’assedio.

Insomma, vagheggia, per così dire, un sentiment di forte insoddisfazione e di rimozione nei confronti del contagio sanitario e, soprattutto, della burocrazia dei protocolli. E qualcosa, alla fine, si smuove. Per esempio nella scuola: se Veneto e Alto Adige hanno deciso di riaprire le classi dal prossimo lunedì, la Lombardia e l’Emilia lo annunceranno entro oggi.

Intanto la movida milanese comincia a riorganizzarsi. Con molta cautela, ancora intorpidita, la vita si riaccende tra i Navigli e il centro. Arriva per i commercianti l’ordinanza tanto attesa pubblicata sul sito portale regionale con una «Faq», cioè una nota di chiarimento con domanda e risposte: “I bar e/o pub che prevedono la somministrazione assistita di alimenti e bevande – si legge sul sito della Regione – non sono soggetti a restrizioni e pertanto possono rimanere aperti come previsto per i ristoranti, purché sia rispettato il vincolo del numero massimo di coperti previsto dall’esercizio”. Anche la cultura tenta colpi di coda: si invoca la graduale riapertura dei musei, dei teatri, delle manifestazioni. La regista Andrée Ruth Shammam, storica titolare del Teatro Franco Parenti, tra le anime culturali della città afferma: “La musica e il teatro sono i punti fermi di una civiltà, se chiudono, io non ho più niente”, e dietro di lei si muove uno stuolo silenzioso di attori, impresari, musicisti, autori. Il ritorno alla normalità è certo, l’incertezza sono i tempi…


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