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Francesco Di Leva è Il Sindaco del Rione Sanità nell’omonimo film diretto da Mario Martone in sala fino al 2 ottobre distribuito da Nexo Digital. Un ruolo iconico per l’attore napoletano ideato da Edoardo, com’è stato essere Antonio Barracano?
«Se lo chiedi all’attore dico che è un personaggio magnifico, feroce, commovente, una perla rara. L’ho reso anche ironico ispirandomi alle persone di questo quartiere che appaiono simpatici pur essendo criminali e hanno un appeal sul popolo. Io, invece, questi personaggi li odio: sono il tumore della mia terra e lotto contro di loro tutti i giorni. Non comprendo le loro scelte e non mi piace nulla di loro».
Nel film appaiono la figlia Morgana e uno dei suoi rottweiler, Di Leva ha portato al cinema lo stesso ruolo in cui l’aveva già diretto al teatro Mario Martone:
«A teatro, ci si adagia sulle pause, provi cose sera per sera e si metabolizza in modo diverso. Lo strumento è la mente dell’attore e regali allo spettatore varie sfumature. Nel film, il terzo atto si apre con un uomo duro, feroce, aggressivo e poi tenero. È una sorta di pentimento: gli spettatori stanno con il protagonista».
Il rapporto con Mario Martone è speciale per l’attore di San Giovanni a Teduccio:
«Per me lui è tutto, la nostra è una storia d’amore che dura da 22 anni! Mi aveva scelto per un corso a Ischia dove ero il più giovane e non ci siamo più separati. Grazie a lui ho partecipato alla mia prima tournée teatrale. Mario c’è, non è un punto di riferimento, ma non mi ha mai lasciato solo».

Di Leva ha diretto il corto Malamènti presentato anni fa a Venezia e si divide fra teatro e cinema:
«Preferisco fare quello che mi lascia libero di pensare, proporre e dire la mia. Un attore mette in campo le proiezioni di un regista, mi piace discutere e crearlo insieme, proporre un’alternativa, un’emozione diversa dal testo. Teatro, cinema e regia mi emozionano diversamente».
Con il collega Adriano Pantaleo e il regista Giuseppe Miale di Mauro Di Leva ha fondato NEST nel suo quartiere, dove il Napoli Teatro Est è diventato un riferimento:
«Questo viaggio magnifico compie 10 anni, nel cuore di San Giovanni a Teduccio una palestra abbandonata è diventata un avamposto alle barbarie, un presidio culturale per la città, il quartiere, e tutta Italia. Ci hanno studiato alla Silvio D’Amico e alla Piero Grassi: partendo dal basso e in un mondo difficilissimo siamo riusciti a farci spazio e a regalare le nostre idee. Mi hanno dato del pazzo, ma nessuno ci sposta da qui restiamo per dare un’alternativa ai ragazzi».

Per interpretare Barracano si è ispirato ai pugni e alle ferite di Muhammad Alì:
«Edoardo De Filippo ha scritto l’opera nel 1960, forse mentre Alì vinceva l’oro ai Gjochi di Roma. Ho immaginato che Edoardo leggendo il giornale l’abbia visto urlare al mondo. Volevo dare cazzotti ed essere simpatico come lui restituendo il testo di Edoardo da napoletano e da artista. Il mio Antonio veste in tuta e ha una mano fasciata. Mi sono fratturato involontariamente: questo film è stato un bollettino di guerra. Antonio è un pugile ed è in guerra, come Edoardo e come Il Sindaco di Martone».
A causa delle sue origini Di Leva ha recitato ruoli legati alla criminalità:
«Conosco bene questi personaggi, i loro battiti e il timbro della loro voce. Mi propongono il ruolo del cattivo e accetto solo se riesco a intuire che ha un’anima. Se spara e basta, dico di no».
Al teatro lo vedremo in 12 baci sulla bocca in un ruolo completamente diverso:
«Nella pièce raccontiamo un anno di vita di un ragazzo gay introverso negli anni 70: dalla bomba di piazza della Loggia alla morte di Pasolini. Mi piacerebbe raccontare questi anni in un film. In un’altra vita forse ero un artista con il sapore, il colore e i vestiti di quegli anni».

Vorrebbe creare un progetto con Virzì, Sorrentino e Capotondi e non solo essere diretto da loro:
«Come è successo con Martone. È un artista che ti rende partecipe del processo artistico, per me questo è come vincere al Superenalotto, parlare e confrontarsi ti arricchisce».
Se non fosse stato attore avrebbe continuato a fare il panettiere, un lavoro che l’ha salvato così come le sue origini:
«È stata la mia salvezza! Se hai un mestiere alle spalle, hai un’alternativa, come NEST per me. Se non ti piace un ruolo dici no sin da giovane perché tracci il percorso della tua carriera. Da San Giovanni non mi sposto, qui si sta troppo bene. Qualcuno ha detto che nascere a Napoli è una manna dal cielo perché è una città piena di contraddizioni. Una città che ti arricchisce molto anche con i suoi suoni e che mi ha dato vitalità ed energia fondamentali per la mia carriera».


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