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Fabio Abagnato, responsabile dell'Emiliana Film Commission

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«E’ CHIARO che i premi li prendono le produzioni, gli attori, i registi. Non le Film Commission. Ma i David di Donatello a “Volevo nascondermi” sicuramente mi hanno riempito di gioia».

Parole di Fabio Abagnato, responsabile della Emilia Romagna Film Commission all’indomani della cerimonia di consegna dei premi che ha visto assoluto protagonista il film di Giorgio Diritti con uno strepitoso Elio Germano sulla vita di Antonio Ligabue. Gli spunti di discussione con Abagnato, però, calabrese di Catanzaro («e che a Catanzaro torno spesso”, confida), sono parecchi. E non possono che iniziare proprio dal suo lavoro e dai riconoscimenti degli Oscar italiani.

Quando si è parte della realizzazione di un film così importante la soddisfazione è doppia?

«Beh, diciamo che come Film commission il nostro lavoro si svolge su due fronti: sostenere economicamente la produzione e promuovere l’immagine del territorio. Questo film è di una importanza notevole non solo per una casa di produzione importante come la Palomar ma anche per tutto quello che ci sta intorno».

Proviamo a fare un elenco?

«Un autore bolognese. Una squadra di professionisti eccellente, in parte emiliana. La poetica di Giorgio Diritti. E la storia di Ligabue, una storia che in Emilia si racconta, si tramanda, si studia».

Giorgio Diritti e Fabio Abagnato

Ha dimenticato Elio Germano.

«Un attore che non finisce più di sorprendere. E’ stato eccezionale. Sul set avevamo l’obbligo di non fotografarlo perchè si è voluto mantenere fino ai trailer il segreto sulla maschera del suo viso».

Lo ha visto sul set?

«Sì. E quando lo abbiamo visto recitare sulle rive del Po abbiamo capito che avevamo di fronte un’interpretazione straordinaria. Ha dato un grandissimo contributo a questo personaggio, anche nelle tecniche di avvicinamento agli animali».

Riuscirebbe a definire in qualche modo questo film?

«Fortunato e sfortunato insieme. Lo abbiamo presentato a Berlino il 20 febbraio, quando Germano vinse l’Orso d’argento e dopo tre giorni in Emilia hanno chiuso i cinema per la pandemia. E’ stato visto un po’ nelle arene estive e poi ha nuovamente pagato dazio alle regole dell’emergenza sanitaria. Pensi che non siamo ancora neppure riusciti a festeggiarlo fino in fondo nei territori dove è stato girato».

Torniamo ai David: al di là delle soddisfazioni per Volevo nascondermi, cosa l’è piaciuto?

«Le parole di Sofia Loren hanno colpito tutti. E poi ha colpito positivamente il fatto che si sia dato risalto a tutte le figure che lavorano per un film. Si è raccontata bene la figura del montatore, per esempio, del direttore della fotografia, dei tecnici del suono, tutte figure importantissime per la qualità di un film».

Le è dispiaciuto non essere presente?

«Molto. Soprattutto per l’orgoglio regionale esaltato dal ringraziamento di Palomar all’Emilia definita terra dell’accoglienza. Sono un calabrese che vive qui da anni, ne so qualcosa».

La Calabria, già. Immagino che lei segua quello che qui si sta tentando di fare per stimolare gli investimenti nel cinema.

«Sì, noi abbiamo un confronto con tutte le Film Commission, siamo abituati a dialogare. La Regione Calabria sta facendo delle scelte importanti».

Posso chiederle qualche dettaglio in più? Si riferisce agli studios?

«Anche. Premetto una cosa: non tutte le Film Commission sono uguali. Non tutte sono una fondazione. Per dirla, in Emilia si è scelto di sviluppare il settore attraverso la pubblica amministrazione, quindi senza creare un ente terzo, e noi siamo una struttura interna della Regione. Quando andammo a Berlino, per fare un esempio, è venuto anche Bonaccini. Abbiamo una disponibilità annuale di due milioni e mezzo di euro circa ogni anno e con quella andiamo avanti».

Tornando alla Calabria?

«Tornando alla Calabria, dicevo, sta facendo delle scelte importanti. Vista da qui, però, non se ne capisce fino in fondo la sostenibilità nel lungo periodo. Ed è proprio questo che manca alla Calabria: leggo le notizie sui giornali ma non vedo il dibattito. Ma ripeto, ogni regione ha il suo settore di riferimento, le variabili sono tante e avranno fatto le loro valutazioni».

Che ne pensa di Giovanni Minoli?

«Che è un grande professionista della tv e dell’audiovisivo. Ma in tutta sincerità il problema non sono gli uomini. Il problema è il mandato che dà la politica».

Può spiegarsi meglio?

«E’ la politica che detta la linea strategica. Fare gli studios a Lamezia piuttosto che altrove è una scelta politica, ma è anche una scelta che deve tener conto di altre variabili, come la vicinanza a un aeroporto ad esempio. Le aree sono importanti e lo sono per tutti. Perchè le regioni ormai devono dialogare con l’Europa, mica con la regione a fianco. Quando noi andiamo sui mercati, per farle un altro esempio, parliamo dell’attrattività dell’Italia, non solo dell’Emilia Romagna».

Di cosa ha bisogno l’industria cinematografica per attecchire definitivamente?

«Di grande continuità».

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