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17 settembre 1993: i funerali di padre Puglisi, ai quali parteciparono circa 8mila persone

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Manca uniformità di vedute tra i livelli di gerarchia ecclesiastica. Nel 2013 padre Puglisi beato per la prima volta per aver avversato un’organizzazione mafiosa

di ISAIA SALES*

SOLO negli ultimi anni le gerarchie del Vaticano hanno affrontato il tema del rapporto mafie e religione cattolica rispetto al lungo passato di silenzio, di non avversione e (in molti casi) di aperto sostegno del potere mafioso, ‘ndranghetista e camorristico. Nel 2014 Papa Francesco in Calabria ha pronunciato la parola “scomunica” dopo che per decenni e decenni questa stessa parola era stata bandita dal linguaggio dei vertici della Chiesa nei confronti degli appartenenti alle mafie, mentre si continuava ad usarla ogniqualvolta era messa in discussione la dottrina della Chiesa in materia sessuale o la sua concezione della vita.

Nel 2013 Padre Puglisi è stato proclamato beato: per la prima volta un uomo di Chiesa è stato innalzato agli altari per aver avversato un’organizzazione mafiosa. Nelle settimane scorse ha colpito l’opinione pubblica la presa di posizione ferma dell’arcivescovo di Monreale, Michele Pennisi, di non ammettere come padrini di battesimo e di cresima coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso. Eppure, nonostante queste novità, può succedere, come è successo ripetutamente che si permettano veri e propri sacrilegi, come l’omaggio alle case dei boss durante le processioni di Santi e Madonne, oppure che si svolgano solenni e funerali religiosi a feroci assassini. Ciò pone il seguente interrogativo: la Chiesa cattolica ha inaugurato un nuovo corso in maniera così radicale da annullare tutte le ampie zone d’ombra del suo rapporto storico con le mafie? E da superare all’improvviso tutte le accondiscendenze che il clero locale ha quasi sempre mostrato verso i boss mafiosi? E’ del tutto evidente la distanza enorme tra le posizioni ufficiali dei vertici della Chiesa e il comportamento dei singoli preti e delle singole parrocchie. Come se mancasse non solo un’uniformità di vedute tra i vari livelli della gerarchia ecclesiastica, ma anche disposizioni dettagliate con le quali obbligare anche i preti più riottosi ad una coerenza di comportamenti.

Ultimamente, infatti, si sono verificati casi clamorosi di esequie religiose di mafiosi, di erogazione dei sacramenti a persone notoriamente appartenenti alle mafie, di assistenza spirituale nei covi dei latitanti, di giudizi sugli appartenenti alle mafie come “normali” parrocchiani da non escludere dalle funzioni e dai sacramenti, ripetuti inchini delle statue dei santi in numerosissime processioni religiose, o il controllo totale delle feste come nel caso di quelle svoltesi nei comuni a radicata presenza di ‘ndrangheta. Come non ricordare il fastoso funerale del boss Casamonica a Roma, proprio nella città sede del Vaticano. E il parroco non solo non ha avuto la forza di dire di no a quel tipo di funerale non proprio evangelico, ma anzi ha affermato che mai avrebbe negato i sacramenti a una persona pur sapendola appartenente al crimine organizzato. Eppure nella stessa chiesa era stata vietata la cerimonia religiosa per Piergiorgio Welby, afflitto da sclerosi multipla, deceduto grazie all’assistenza di sanitari che diedero seguito alla sua volontà di porre fine alla lunga agonia.

Al mafioso Casamonica il funerale religioso, al mite Welby no. Non va dimenticato che la pratica degli inchini ai mafiosi da parte delle statue di Madonne e Santi è antica ed è sempre avvenuta, ad eccezione degli ultimissimi tempi, con la assoluta copertura delle gerarchie diocesane e dei preti locali o con la loro silenziosa acquiescenza. Sotto questo aspetto, la religione cattolica è stata utilizzata come “instrumentum regni”, cioè come riconoscimento e legittimazione del potere mafioso. Certo, ci sono preti che in diversi quartieri e paesi dominati dalle mafie svolgono una straordinaria opera sociale, culturale e perfino economica per contendere bambini, ragazzi e giovanissimi al reclutamento mafioso. Preti come quello del funerale di Vittorio Casamonica non possono farci dimenticare il valore dei preti di frontiera nei territori mafiosi. Ma i preti missionari dell’antimafia non annullano, purtroppo, il danno sociale e civile degli altri. La possiamo mettere in tutti i modi, ma è evidente che la religione cattolica, così come si è originata e sviluppata nell’Italia meridionale, non è stata un ostacolo al dispiegarsi del potere mafioso, anzi.

I fenomeni mafiosi si sono sviluppati in società e ambienti cattolicissimi pur rappresentando una violazione sistematica dei comandamenti e dei precetti dell’etica cristiana. E se i mafiosi praticano una credenza cattolica falsa e fatta solo di apparenze, è perché hanno trovato e copiato modelli di religiosità esibita più che intimamente praticata. Molti mafiosi si confessano dopo ogni delitto e immediatamente dopo tornano ad ammazzare. Si può ancora oggi tollerare tutto ciò?

* Docente università Suor Orsola Benincasa Napoli

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