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Don Pino Demasi durante il dibattito al centro Puglisi

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di GIANCARLO COSTABILE*

«L’UOMO è un essere che progetta il suo futuro», spiega Husserl. La speranza è la categoria chiave della nuova egemonia culturale che sta nascendo dal basso nelle terre meridionali. Dopo la ribellione morale e sociale di Scampia, è la Piana di Gioia Tauro a raccontare una storia di emancipazione e riscatto civile. Di coraggio e militanza al servizio dell’avvenire.

Don Pino Demasi è tra i testimoni più credibili di questa resistenza meridionale che si fa ogni giorno compiuta pedagogia della liberazione. E’ una narrazione che non lascia spazio a ombre e ambiguità comportamentali, perché ha scelto di porsi socialmente come annuncio di resurrezione, in una regione secolarmente inginocchiata e costretta alla rassegnazione. La Valle del Marro-Libera Terra e il Centro Pino Puglisi a Polistena sono incubatori di una nuova umanità che sta prendendo forma storica a Sud di Roma.

La produzione di economia legale, la promozione di modelli sociali, la piena agibilità delle relazioni democratiche, sono i tre prodromi della rivoluzione nata nella Piana che segnano una rottura irreversibile con la tradizionale iconografia del potere padano, funzionale alla rappresentazione del popolo meridionale come ‘collettività situata’ in modo permanente nella valle del piagnisteo, e nel suo inferno di passività e logoramento esistenziale.

Il Mezzogiorno che ha scelto di non essere più Sud, non vive di astratte utopie ma di coraggiose rotture eterotopiche: dalla prigione dell’atomismo sociale, le nostre comunità si stanno avviando verso una rinnovata modellistica di cooperazione civile. La scommessa dell’antimafia sociale di Don Pino Demasi sta vincendo la sfida più difficile, forse la più proibitiva, per il Meridione: quella di non uccidere la speranza, facendosi antidoto efficace alla paura e alla disperazione. Può cambiare anche la Piana di Gioia Tauro, e con essa la Calabria tutta. La partita della storia, ci dicono da Polistena, è aperta e il risultato non è ancora scritto.

La pedagogia è costruzione scientifica del divenire: ‘Cambiare per Restare e Restare per Cambiare’, come insegna il magistero educativo di Don Demasi, è grammatica dell’oggi, alfabeto del presente che percorre la strada della modernizzazione, e non dell’emigrazione. Della lotta, e non della rinuncia. Dello Stato, e non delle mafie. Paulo Freire ripeteva continuamente che nessuno libera nessuno, ma ci si libera insieme perché la liberazione è un parto faticoso e doloroso.

Da Scampia alla Piana di Gioia Tauro, è in corso un esercizio di scrittura collettiva, per dirla con le parole di Barbiana, che il mondo accademico non può ignorare: una lettera di speranza al Paese, che si nutre di sdegno e coraggio. Ma anche, e soprattutto, di amore: quello per la libertà e la democrazia. L’Italia vada a Polistena per studiare il Mezzogiorno che ha smesso di essere Sud.

*Docente di Storia dell’educazione alla democrazia Università della Calabria

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