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Uno dei maxisequestri di droga al porto di Gioia Tauro

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di ANTONIO NICASO

PIÙ che di mafie, bisognerebbe parlare di sistemi criminali. Di collusioni e contiguità, ma soprattutto di soldi che inquinano l’economia legale. Un fiume di denaro che garantisce la sopravvivenza di questi fenomeni indissociabili dalla politica, le cui origini e il cui sviluppo coincidono con le vicende di un sistema di potere che, partendo dalla Sicilia, dalla Calabria e dalla Campania, ha raggiunto ormai quasi ogni angolo del Paese. Questi “nessi”, tanto funzionali al potere mafioso, oggi garantiscono ricchezze immense, stimate dalla Banca d’Italia nell’ordine dei 140 miliardi di euro l’anno, di cui soltanto il due per cento torna nella disponibilità dello Stato, in seguito alla confisca dei beni illegalmente conseguiti. Il resto confluisce tranquillamente nell’economia legale, che non “scaccia” quella criminale.

Oggi le associazioni mafiose, come Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra, si occupano prevalentemente di droga, controllano i rispettivi territori, investendo i profitti anche in luoghi lontani da quelli di origine, grazie agli effetti criminogeni dei processi di globalizzazione. La droga. Gli uomini di Cosa nostra sono i primi a gestire eroina in grandi quantità, sfruttando, dopo l’indipendenza del Marocco, la chiusura del porto franco di Tangeri, che fino al 1960 era stato il centro nevralgico di tutti i traffici illegali del Mediterraneo. È in quegli anni che si saldano alleanze strategiche tra Cosa nostra, camorra e ’ndrangheta, con l’utilizzo delle coste campane e calabresi, prima per il contrabbando di sigarette e poi per il traffico di droga. Marsiglia è il centro internazionale dei traffici illeciti e nei suoi laboratori si raffina l’80 per cento dell’eroina destinata al mercato americano.

Spiega lo storico Francesco Barbagallo: «Negli anni dell’anti-americanismo favorito dal Generale De Gaulle, Presidente della Quinta Repubblica, numerosi esponenti dei servizi segreti francesi si inseriscono attivamente nelle reti internazionali del narcotraffico, che fanno capo per lo più a criminali corsi di stanza a Marsiglia. Le cose cambieranno quando il Presidente Pompidou prenderà il posto di De Gaulle e avvierà, negli anni ’70, una collaborazione nella lotta contro gli stupefacenti con gli Stati Uniti del Presidente Nixon, dove la droga imperversa da tempo». Dopo aver acquistato eroina dai clan siciliani e dai narcos turchi, la ’ndrangheta investe nel traffico di cocaina i riscatti dei sequestri di persona. I camorristi fanno altrettanto con i proventi delle speculazioni edilizie e delle estorsioni. Sono gli anni in cui molte aziende del Nord vincitrici di appalti nel Mezzogiorno scendono a patti con mafiosi-imprenditori e con imprenditori mafiosi, in grado di assicurare facilità di rapporti sociali. In cambio di protezione, ottengono subappalti, soprattutto nell’ambito del movimento terra e della fornitura di cemento e calcestruzzo.

Negli anni successivi i clan casalesi e le famiglie più importanti della ’ndrangheta acquisiscono una dimensione totalmente autonoma fino a controllare grosse fette del mercato europeo della cocaina. Oggi, le tre principali organizzazioni criminali gestiscono molte attività illecite. La ’ndrangheta è diventata l’organizzazione criminale più ricca e potente, mentre Cosa nostra ha pagato lo scotto dello stragismo, subendo i contraccolpi dello Stato. I casalesi hanno esteso i loro interessi anche fuori dal contesto nazionale. Le attività criminali gestite dalle mafie spaziano dall’estorsione all’usura, dalla droga al riciclaggio di denaro, dalle contraffazioni alle frodi alimentari, dalle violazioni delle norme di tutela ambientale ai reati finanziari e di ultima generazione, legati all’uso delle nuove tecnologie e della globalizzazione.

L’allarme lanciato dall’Europol, la polizia europea, ha recentemente segnalato la crescente ingerenza delle mafie nel settore delle energie rinnovabili, dove si sfruttano le sovvenzioni comunitarie e le agevolazioni fiscali previste per i parchi eolici e i campi del fotovoltaico. Nel 2013 la Direzione investigativa antimafia ha sequestrato aziende, immobili, automobili, barche e conti correnti per un valore di 1,3 miliardi di euro a un ex elettricista del trapanese, che in poco tempo era diventato il re dell’eolico in Sicilia. Per gli investigatori era uno dei prestanome di Matteo Messina Denaro, l’ultimo dei corleonesi ancora latitante. Il gambling, soprattutto quello gestito online, è ormai un’altra importante fonte di reddito.

L’internet ha creato enormi opportunità per clan sempre più agguerriti nella corsa al profitto. Il rischio più grave, però, è di far passare il fenomeno mafioso come qualcosa di legato esclusivamente a un territorio e a una mentalità. È un errore già commesso più volte in passato, soprattutto quando si mandavano i mafiosi siciliani al confino in Calabria, perché si riteneva la ’ndrangheta una mafia stracciona e poco importante o quando si mandavano ’ndranghetisti, camorristi e mafiosi al Centro-Nord, ritenendo fondamentale l’habitat territoriale per la sopravvivenza di regole e strutture. In realtà, quello mafioso si è dimostrato un modello facilmente esportabile, grazie alla capacità di riprodursi nel tempo e nello spazio, accumulando e impiegando capitale sociale.

Come spiega il sociologo Rocco Sciarrone: «I mafiosi sono […] in grado di costruire e gestire reti di relazioni, che si muovono e articolano in modo informale in ambiti e contesti istituzionali diversi, riuscendo per questa via a mobilitare risorse materiali e finanziarie, che utilizzano per il conseguimento dei propri fini». Non si sbaglia a definire le mafie organizzazioni criminali che si caratterizzano per la compattezza dei loro legami interni e l’efficacia delle relazioni esterne. Il capitale sociale dei mafiosi, connesso alla loro capacità di fare rete, è fondamentale per comprendere la forza delle mafie che sono capaci di stabilire rapporti di cooperazione e di scambio, sia pure in forme e modi diversi a seconda delle circostanze, con soggetti esterni all’organizzazione. Lo hanno fatto ieri e continuano a farlo anche oggi. Molti però fanno finta di non capire.

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