X
<
>

Condividi:
2 minuti per la lettura

Bisogna essere veramente ottimisti per pensare che ci sia un limite al fondo.

Nell’ultimo bando del Ministero dell’Università e della Ricerca, pubblicato il 26 febbraio per disciplinare le prossime tornate dell’Abilitazione Scientifica Nazionale, si legge una disposizione che sembra essere stata inserita da un marziano: i candidati (secondo l’art. 2, comma 4, lettera b, del Decreto Direttoriale n. 553) devono caricare sulla piattaforma in formato elettronico (pdf) la loro produzione scientifica e «ove la pubblicazione sia redatta in lingua diversa dall’italiano e/o dall’inglese» devono accludere «la traduzione giurata della pubblicazione in un unico file».

Chi non si atterrà alla direttiva vedrà escluso dalla valutazione il suo lavoro («Non saranno valutate le pubblicazioni di cui non sia stato inserito l’allegato»).

Ho dovuto rileggere più volte questa formulazione nella speranza di essermi sbagliato. E, invece, nero su bianco appare una norma che ridicolizza non solo chi l’ha concepita, ma l’intero sistema universitario italiano. Nei prossimi concorsi, insomma, coloro che hanno pubblicato articoli e libri in francese, in spagnolo, in tedesco – non sto parlando del cinese, del giapponese, del farsi o dell’arabo – dovranno produrre «traduzioni giurate».

Una maniera elegante per dire a un francesista, a un germanista o un ispanista che sbaglia a scrivere nella sua lingua di studio. Così, con un colpo di spugna, si cancella un’antica consuetudine che aveva incoraggiato i docenti delle più diverse discipline umanistiche a pubblicare in altre lingue proprio per promuovere ancora di più il dialogo accademico internazionale.

Ma c’è di più: come faremo a spiegare ai nostri giovani studiosi che, avendo conseguito un prestigioso dottorato in Francia o in Germania o in Spagna, saranno costretti a cestinare le loro pubblicazioni?

Da decenni stiamo assistendo a una china pericolosa. I professori universitari non possono restare indifferenti di fronte a scelte che offendono la loro dignità scientifica, la vocazione europea degli Atenei e, soprattutto, la lingua e la letteratura di Paesi fratelli come la Francia, la Spagna o la Germania che hanno contribuito notevolmente alla crescita culturale del nostro Continente.

In attesa che la nuova ministra ritiri o modifichi il decreto, sarebbe importante far ascoltare le voci di protesta dell’intera comunità accademica.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE