X
<
>

La sede di Dazn

Condividi:
2 minuti per la lettura

Dieci partite spalmate su dieci orari diversi: sembrava una realtà distopica, invece potrebbe essere realtà. La proposta avanzata da DAZN nelle scorse ore ha fatto il giro del web, accogliendo più dissensi che consensi.

E non è questione di nostalgia, ma di buonsenso: dieci gare in altrettanti slot differenti è un caos organizzato, è un voler riempire ostinatamente le giornate. Non è da tempo il calcio che cantavano i tifosi in Curva, quello della «domenica alle tre», ma finora non si era mai arrivati a tale punto.

Alfredo Provenzali, storico conduttore di “Tutto il calcio minuto per minuto”, nella giornata del 5 dicembre 2010, la prima, storica volta del cosiddetto “spezzatino”, disse a quanti erano in ascolto: «Ed eccoci alla quindicesima del campionato di Serie A. Volutamente evitiamo di specificare “giornata”, in quanto ci pare quantomeno improprio definire così un qualcosa che è cominciato venerdì scorso e si concluderà soltanto domani, lunedì». Ecco, forse si è andati un po’ tanto oltre.

LE REAZIONI

Ad esprimersi contrariamente alla proposta DAZN sono stati gli eredi dello stesso Provenzali. A partire da Francesco Repice, che ad Adnkronos ha dichiarato: «Mi sembra di capire che si voglia far allontanare le persone dal pallone e ci si riuscirà. Il calcio è ben voluto proprio perché è semplice».

A fargli eco Riccardo Cucchi, sempre alla stessa agenzia di stampa: «Bisogna capire se la dimensione che si sta creando è la migliore per i tifosi, perché sono loro la cosa importante».

Due voci rilevanti che, però, non potranno far altro che guardare l’evoluzione del calcio. Sempre ammesso che di evoluzione si possa trattare: quale appeal può avere, per uno spettatore medio, una sfida come Cagliari-Torino? Il fascino di Riva e Pulici è scomparso, le due squadre concludono da anni campionati senza infamia e senza lode e il loro share, col probabile rientro allo stadio dei tifosi, sarà praticamente limitato agli appassionati del Fantacalcio, alla ricerca dell’ennesimo +3 di Joao Pedro o del costante 5.5 di Rincon.

Ecco, forse questa resta l’unica spiegazione. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in uno degli italici aforismi più abusati dal giorno successivo alla sua pubblicazione, faceva dire a Tancredi: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».

Eccola qui la rivoluzione: un calcio sempre meno a misura di tifoso e sempre più a misura di fruitore. E le due cose non coincidono quasi mai.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE