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APRIAMO una parentesi. Lasciamo da parte la questione del mare sporco e, anzi, proviamo a immaginare che in tutta la Calabria le acque siano cristalline come, peraltro, lo sono davvero in molte sue zone.

di ROCCO VALENTI

APRIAMO una parentesi. Lasciamo da parte – proprio nelle ore di punta della stagione balneare – la questione del mare sporco e, anzi, proviamo a immaginare che in tutta la Calabria le acque siano cristalline come, peraltro, lo sono davvero in molte sue zone.

Nelle pagine del Quotidiano degli ultimi giorni abbiamo dato spazio alla voce di turisti (delle vere e proprie dichiarazioni d’amore per questa terra, nonostante i problemi legati anche alla stessa accoglienza), ma anche a qualche iniziativa che lascia spazio alla speranza che qualcosa può cambiare. Meglio: che qualcosa può essere cambiata. E uno dei problemi sta proprio qui: lo sviluppo non si crea da solo, non è un fenomeno naturale e, probabilmente, qualche volta può prescindere dalle grandi progettualità affidate ad una classe dirigente (politica e amministrativa) che, a giudicare da risultati emersi negli ultimi decenni, non ha dato il massimo, diciamo così. Proviamo a immaginare che non ci siano più fondi pubblici (nazionali e comunitari) a cui guardare – come spesso accade – come l’obiettivo della vita. In uno scenario così disegnato, la Calabria mantiene tutto il suo patrimonio di bellezza e ricchezza (naturalistica e culturale) che legittima il sogno di diventare una meta turistica di prim’ordine.

Ovviamente, lasciamo da parte – insieme a quei tratti di mare poco invitanti – i segni evidenti di sporcaccioni di ogni risma (tutti i sindaci prendano esempio dal loro collega di Soverato e dal Corpo forestale di Cosenza, che hanno installato telecamere riprendendo gente che ancora oggi – 2016, per chi non lo ricordi – butta sacchetti di immondizia ai bordi delle strade) e, come detto, le lacune e le inefficienze di un sistema di accoglienza turistica che, per essere buoni, ha il fiatone. Resta la Calabria, che con i suoi scorci lascia senza fiato i visitatori e ne delizia i palati con prodotti enogastronomici che non tutti si aspetterebbero. Bene, e ora che si fa? Qualche giorno addietro, l’ennesimo studio previsionale ha confermato – su scala internazionale – che l’Italia, oltre al resto, rimane una meta particolarmente appetibile proprio nel campo del turismo enogastronomico. E la Calabria non ha forse le sue carte da giocarsi? Non ha forse un piccolo patrimonio anche in questo campo, accanto a quello naturalistico e a quello culturale? In Calabria si mangia mediamente bene in qualunque ristorante o trattoria? La risposta alle prime due domande è sì, alla terza è: forse no. Intendiamoci: in questa terra ci sono eccellenze che prescindono persino da stelle e forchette sulle guide, che pure ci sono. Passi in avanti ne sono stati fatti, ma non sono ancora sufficienti per dire che un turista che venga in Calabria ha la probabilità di mangiare bene in qualsiasi locale pubblico decidesse di scegliere. Difficile dire perché, molte volte, dei prodotti vanto della regione non vi sia traccia nei menù. Complicato capire perché alcune preparazioni tradizionali – per le quali, c’è da scommettere, i visitatori farebbero carte false – non abbiano mai frequentato le cucine di molti ristoranti/trattorie.

Questione di costi? Probabilmente no.

Questione di mancanza di fiducia nella propria identità a tavola? Forse.

Questione di mancanza di una cultura dell’accoglienza lungimirante? Probabilmente sì.

A quanti visitatori (perché è evidente che non ci si può fermare ai turisti che vengono d’estate per fare il bagno, considerato che nell’anno ci verrà pure qualcuno per altre ragioni, no?) è capitato di entrare in un ristorante calabrese e, dopo due giorni, di aver rimosso completamente il ricordo? Capita anche in altri posti d’Italia? Certo, ma qui parliamo della Calabria che dice di voler puntare sul turismo. I ristoranti, mediamente, non sono il problema, ma possono essere, invece, un importante tassello per costruire – mediamente, e mediamente vuol dire dappertutto, e non solo nei locali di pochi proprietari lungimiranti e chef di grande talento – una mentalità dell’accoglienza che non è ancora all’altezza della bellezza del territorio. Ma come si fa a servire un piatto di spaghetti del supermercato condito con un sugo insapore? Ecco, la “pasta di casa”, come si dice in Calabria, potrebbe essere un inizio. Se in tantissimi ristoranti fosse servita la pasta fatta in maniera artigianale, nel rispetto della tradizione (e dei formati tipici più diffusi da secoli in Calabria), si avrebbe una chance in più per dire: in Calabria si mangia bene dappertutto.

È ovvio che costa più fatica, ed è naturale che non sempre la si possa utilizzare, ma imprese senza fatica non se ne conoscono, e lo sanno bene tutti quei ristoratori che già oggi sono attenti a questi “dettagli”, che messi insieme smettono di essere dettagli e costruiscono l’eccellenza. I sapori del territorio devono essere serviti in tutte le tavole a tiro di visitatori. Una scommessa che tutti possono giocarsi, se ci credono. Non servono nemmeno finanziamenti pubblici… E quand’anche i mega-progetti turistici non dovessero andare in porto (ma perché essere a tutti i costi diffidenti?), un ristorantino in cui assaporare questa regione, un pezzo incantevole di spiaggia e un frammento di una storia millenaria valgono sì un soggiorno in Calabria. Il mare sporco? Non prendiamoci in giro: basta leggere, in questa stessa pagina, una lettera del responsabile regionale della Protezione civile (e la risposta della nostra Annarosa Macrì) per avere la conferma che il fenomeno ha una mamma e un papà. E anche una soluzione.

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