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Gli uffici della Regione Calabria

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C’È un esercizio facile facile che ogni calabrese dovrebbe fare: si prende un pezzetto di carta (va bene anche un angolino di giornale) e si appunta sopra questo: 2,3 miliardi di euro. Non è un portafortuna, ma la stima del valore del patrimonio immobiliare (fabbricati e terreni) della Regione del quale la Regione sa poco e, quindi, presumibilmente, non ne ricava adeguati benefici. Forse il termine stima non è quello corretto, ma cambia poco.

Quel 2,3 miliardi di euro (arrotondato per difetto) è il patrimonio non ancora inventariato per il quale l’ente anche quest’anno, come nei precedenti, ha preso le bacchettate dalla Corte dei Conti nel momento in cui quest’organo di controllo ha spulciato tra le voci del bilancio regionale.

Il procuratore regionale della Corte dei Conti è andato oltre, rilevando come non sia da escludere, in questa situazione, il rischio usucapione. Ovvero: beni della Regione non inventariati potrebbero essere nella disponibilità di privati che, passato il lasso di tempo previsto dalla legge, potrebbero diventarne proprietari. Nel corso degli anni sono stati fatti tentativi per mettere mano a questa situazione abnorme (una Regione povera in canna non può certo permettersi il lusso di non sapere quali siano i suoi beni e, soprattutto, farli fruttare), altri sono in corso. Ma la sostanza, al momento, non cambia. E la notizia, nonostante sia di proporzioni ben più vaste dei tre milioni persi per questo o quello, non ha suscitato grande interesse nel dibattito politico. Anzi.

È come se stessimo parlando di una sagra di ultimo ordine o di una festa di compleanno. E allora, tutte le volte in cui ci si imbatte in situazioni di mancanza di servizi o di gravi carenze addebitati a mancanza di fondi, sarebbe un buon esercizio tirare fuori il pizzino con la scritta “2,3 miliardi di euro” per avere, diciamo così, un quadro più completo. È davvero disarmante come possano passare gli anni invano, nonostante la stessa Regione (basta leggere le relazioni dei dirigenti allegate ai bilanci) riconosca (ma non potrebbe fare diversamente, trattandosi di numeri) la fondatezza delle censure dei magistrati contabili.

“Come si è più volte rimarcato, la Regione Calabria vanta un patrimonio immobiliare cospicuo (per numero e consistenza dei cespiti) e variegato (per natura giuridica e ubicazione territoriale) che, sin dalla sua istituzione, per un retaggio storico e culturale fatto di cattive abitudini consolidate e di un generale senso civico appannato, è stato considerato e trattato – complice per la verità anche una politica miope o svogliata – come “terra di nessuno” perché “terra di chiunque”: non lo dice la Corte dei Conti, ma una struttura della stessa Regione, che, ad onor del vero, nella relazione sui conti del 2015, fa riferimento a iniziative in cantiere per migliorare questo incredibile, quanto inqualificabile, stato di cose.

Se anche un solo terreno o un solo casolare di proprietà della Regione fosse abbandonato a sé stesso, sarebbe disdicevole. Pare siano molti, troppi. E se qualcuno fosse usato abusivamente da terzi sarebbe ignobile. E non accertarlo (come si fa da decenni), con tutti i mezzi e in fretta, sarebbe una intollerabile omissione. Se non altro.

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