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La costruzione incompleta a via degli Stadi a Cosenza

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Il caso di uno scheletro in cemento armato di Cosenza incompleto da 40 anni emblema di un patrimonio immenso che porta solo costi

IS there anybody among public regional managers who is going to reply to people of Calabria about the building left incomplete for more than 40 years in Cosenza, nearby Via degli Stadi? Or, rather, is there anybody who is going to take care of it in order not to continue with such an evident and disgraceful waste?

Vediamo se in inglese la denuncia che il Quotidiano ha fatto ieri sortisce effetti migliori (come potrebbe far pensare quanto scrive, in prima pagina oggi, don Ennio Stamile). Riproponiamola, a beneficio di noi più provinciali, in italiano: c’è qualcuno tra i pubblici amministratori regionali che ha intenzione di rispondere ai calabresi sulla vicenda della struttura in cemento armato lasciata incompleta da oltre 40 anni a Cosenza, in via degli Stadi? O meglio, c’è qualcuno che se ne vuole occupare per non perpetuare uno spreco così evidente e brutto?

Senza andare per le lunghe: dopo l’ennesima bacchettata della Corte dei Conti sulla complicatissima vicenda dei beni della Regione non inventariati (per un valore stimato di circa 2,3 miliardi di euro, tra fabbricati e terreni), siamo andati a spulciare nelle relazioni sul patrimonio stilate negli anni dai dirigenti che si sono avvicendati e, tanto per fare qualche esempio concreto, il collega Massimo Clausi ieri ha raccontato le vicissitudini di uno di questi beni. Si tratta, appunto, di una specie di ecomostro, giacché è una struttura in cemento armato a sei piani lasciata in stato di completo abbandono. Solo solette e pilastri, per capirci, simbolo, evidentemente, non solo di molti paesini con case non finite condannati all’anarchia e al brutto, ma anche di un certo modo di trattare il patrimonio pubblico.

Quello di Cosenza è solo un caso, che riguarda uno soltanto della gran mole di beni di proprietà della Regione (molti pervenuti nel tempo da altri enti pubblici) che, secondo le stesse relazioni sul patrimonio fatte da dirigenti dell’ente, non sono valorizzati (abbandonati, sconosciuti, semisconosciuti o peggio goduti da privati o altri enti in maniera del tutto abusiva), e quindi non producono alcun vantaggio per le casse di una Regione che, come sanno anche nel Regno Unito, di certo non può permetterselo. Superfluo entrare di nuovo nel merito raccontando la storia del mostro di Cosenza (lo ha già fatto egregiamente Clausi nell’edizione di ieri). Basti solo ricordare che quello scheletro, pervenuto alla Regione dall’ex Ciapi, nei decenni ha prodotto solo costi. Proprio così: oltre, evidentemente, al costo di realizzazione, molti anni dopo sono stati spesi soldi pubblici: nel 2003 era stata disposta la localizzazione di uffici regionali e per questa finalità è stata fatta eseguire una perizia a un professore dell’Unical per fare una analisi e indicare “i criteri d’intervento per il recupero di buona parte degli elementi in cemento armato”. Un’altra somma (25mila euro) era stata destinata per frazionamenti e accatastamenti. Dopo 13 anni da queste ultime decisioni… lo scheletro è sempre scheletro. Casi come questi ce ne sarebbero tantissimi. Di certo, casi di non perfetta conoscenza del patrimonio della Regione ce ne sono una infinità (diversamente non si capisce come si possa arrivare a quella stima di 2,3 miliardi – miliardi – di euro). L’argomento sembra spinoso. Il silenzio è rotto solo da frasi sussurrate del tipo: “E’ un bubbone”. Oppure: “E’ una situazione vecchia”. Certo che è un bubbone. Certo che è una situazione vecchia. E quindi? La Calabria si può permettere tutto questo?

Ed è qui che sta il nuovo. Perché non è giusto che si trasformi in realtà il rischio paventato dalla Corte dei Conti sulla possibilità che un numero indefinito della massa indeterminata dei beni pubblici venga acquisita (con l’usucapione) da privati a causa della cronica dabbenaggine degli amministratori. Quelli in carica dimostrino che alla dabbenaggine cronica c’è un rimedio. Una bella sfida, per la quale, per esempio, varrebbe la pena istituire una commissione consiliare per il recupero del patrimonio invisibile. Non è una dicitura suggestiva come quella contro la ‘ndrangheta, ma di certo potrebbe portare risultati più tangibili ed efficaci. Due miliardi e passa di euro, tanto per non dimenticarlo. Anche i partiti, se ci sono davvero, di fronte a qualche risultato del genere avrebbero qualcosa concreta da festeggiare. E, d’altra parte, nella dimensione terrena dell’eterno non vi è traccia. Neanche per i bubboni. Rocco Valenti

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