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Una maglietta di Libera

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CI sono tanti motivi per essere a Locri il 21 marzo prossimo. Ce ne sono alcuni per i quali quella presenza appare indispensabile. Alla ventiduesima giornata nazionale per le vittime innocenti delle mafie, organizzata da Libera, che quest’anno avrà proprio in Calabria la sua piazza principale (nonostante in altri quattromila posti, in Italia e nel mondo, verranno letti i nomi dei “caduti innocenti”), bisogna esserci quantomeno per condividere la consapevolezza che la libertà dalle mafie, dalla corruzione, dalla criminalità che soffoca interi pezzi del Paese, è diventata ormai necessaria come l’aria.

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Non è una passerella. La partecipazione consapevole non lo è mai, lo può diventare solo se si hanno secondi fini, ma se uno scende in piazza per dire che comincia a prendere coscienza che non se ne può più, che condivide la partecipazione ad un corteo per mettere un paletto da cui avviare un percorso quotidiano fatto non di eroismi (per usare le parole di don Luigi Ciotti), ma di “generosità e responsabilità”, allora i fini non possono che essere primari, puliti, trasparenti, coraggiosi.

La rivoluzione culturale, etica e sociale, a cui don Ciotti fa riferimento in questi giorni intensi di incontri in Calabria in preparazione dell’iniziativa del 21 marzo, è la sola che può far vedere uno spiraglio di luce. E ritrovarsi in tanti attorno ad una idea di libertà da praticare più che da predicare, ascoltare quell’elenco di nomi di morti ammazzati innocenti e partecipare, così, doverosamente, al ricordo di un dolore che non può che essere collettivo, ad un omaggio alla memoria di centinaia di pezzetti della nostra comunità sottratti non solo ai rispettivi familiari, tutto questo vale più di milioni di cerimonie solenni, più di fiumi di parole che gira e rigira conducono a quella, abusata, di legalità, termine che, ha ragione don Luigi, è spesso associato a progetti senz’anima, se non quella della retorica. La Calabria sa bene, perché lo sperimenta ogni giorno sulla propria pelle, che ‘ndrangheta e corruzione la stanno condannando a morte senza possibilità d’appello. I calabresi sanno bene che quella rivoluzione etica e culturale è l’unica via d’uscita.

Lo sappiamo tutti, anche chi non usa la stessa terminologia. E il fatto che non sia un problema solo calabrese, purtroppo, non aiuta a ridimensionarne le conseguenze, né può essere un alibi (“tanto dappertutto è così”) per girarsi dall’altra parte e fingere che non esista. Si arriva sempre ad un momento in cui è necessario prendere posizione, a volte per sopravvivere, qualche altra volta per dignità.

Sarebbe bello che il 21 marzo prossimo, a Locri, ciò accadesse per la “semplice” voglia di affermare il desiderio di libertà. Lo dobbiamo alla memoria di chi (imprenditori, uomini delle forze dell’ordine, magistrati, sacerdoti, giornalisti, ma anche semplici cittadini) è stato ammazzato da innocente, ma anche a tutti quelli, a partire da giovani e giovanissimi, che sono nati in contesti familiari che stanno dall’altra parte e ai quali la società non è in grado di offrire un’alternativa a un corso innaturale delle cose che porta ancora a sopraffazioni e lutti. Lo dobbiamo anche a noi stessi, prima che si arrivi all’estinzione della dimensione etica di questa società di cui comunque siamo parte.

Questa giornata della memoria è più viva che mai. Non solo perché il cancro che ha portato a quelle morti dolorose (ben oltre le pareti di casa dei rispettivi familiari) è tutt’altro che sparito, ma soprattutto perché è tutta proiettata verso un futuro che solo l’indifferenza può vanificare. Ecco perché la partecipazione è un primo, ineludibile, punto fermo.

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