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Sette capi di imputazione, interrogatori e deposizioni di Luigi De Magistris, di testimoni delle inchieste Why not e Poseidone e di magistrati del distretto delle Procure di Catanzaro, Crotone e Paola: questo il contenuto delle 1.700 pagine del decreto della Procura di Salerno che ha disposto la perquisizione di uffici di alcuni magistrati della Procura generale e della Procura della Repubblica di Catanzaro. Un decreto finalizzato al sequestro di atti e documenti relativi alle inchieste Why Not e Poseidone sia prima che dopo l’avocazione e la revoca della delega a De Magistris, ai criteri sulle assegnazioni, alla gestione dei procedimenti, le procedure di trasmissione di singoli segmenti, le modalità si definizione di «singole posizioni in senso favorevole agli indagati collegati ai magistrati nuovi coassegnatari delle inchieste». Nel provvedimento vengono ripercorse le tappe principali delle due inchieste e la scansione dei tempi che hanno portato alla revoca della delega di Poseidone e all’avocazione di Why not. Le deposizioni di De Magistris arrivano sino a pochi mesi fa, e nelle ultime il magistrato parla anche del vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, il cui nome afferma l’ex pm (adesso al Tribunale del riesame di Napoli dopo essere stato trasferito dalla sezione disciplinare del Csm) «è emerso nell’ambito dell’inchiesta Toghe lucane». De Magistris, poi, parla anche del procuratore generale della Corte di Cassazione Mario Delli Priscoli in riferimento all’ultima contestazione disciplinare mossa dalla Cassazione dopo il ricorso dell’ex ministro Clemente Mastella. Secondo De Magistris, Delli Priscoli potrebbe essere stato in contatto con persone indagate in Why Not e Poseidone, per tramite del figlio, Francesco, docente alla Sapienza di Roma e esperto di comunicazioni Umts. De Magistris, nel corso di una deposizione del novembre 2007 davanti ai giudici salernitani, afferma anche che Why Not gli è stata tolta quando «stavo praticamente per chiudere il procedimento» e «soprattutto stavo facendo degli atti anche molto importanti (…) omissis (…) che riguardavano esponenti di spicco della politica calabrese (Minniti, Tommasi, Adamo e D’Andria)». Si tratta di Marco Minniti, massimo esponente del Pd calabrese ed ex viceministro dell’Interno; Nicola Adamo ex vicepresidente della giunta regionale e attuale capogruppo del Pd alla Regione, Diego Tommasi (Verdi) ex assessore regionale all’ambiente, e Renato D’Andria (Psdi).
«L’inchiesta della Procura della Repubblica di Salerno, con gli avvisi di garanzia e le perquisizioni, che vede coinvolti Magistrati della Procura, colletti bianchi, imprenditori, un uomo politico, getta un’ombra pesante sulla Magistratura di Catanzaro». Lo afferma Pino Commodari, componente del comitato politico nazionale del Prc. «Rammento – scrive in una nota – che gli stessi sono accusati di aver commesso reati che vanno dalla corruzione, all’abuso d’ufficio, al favoreggiamento e falso ideologico, per avere ordito una presunta «congiura» nei confronti dell’ex Pubblico Ministero di Catanzaro tesa alla sottrazione dei procedimenti Poseidone e Why not, con la conseguente gestione servita a fermare il suddetto Magistrato, a danneggiarlo, assieme ai consulenti tecnici, alle persone informate sui fatti, ad ostacolare le inchieste, smembrarle, disintegrarle e favorire alcuni indagati. Per la verità più di qualche legittimo sospetto sul trasferimento di De Magistris, noi lo avevamo avuto, tant’è che abbiamo partecipato alla mobilitazione che tentava di impedire il suo trasferimento. Le sue inchieste, in particolare Poseidone e Why not, davano ragione alla nostra analisi alla nostra analisi e alla nostra denuncia che conclamavano l’esistenza di un «sistema Calabria» nel quale si incontrano e si intrecciano, la politica, la ‘ndrangheta, la massoneria, pezzi delle istituzioni, i colletti bianchi, la burocrazia e l’impresa. Un intreccio nel quale si fondono la «questione morale» e la «questione criminale» e divengono un’unica questione che sospende la democrazia e determina una vera e propria crisi di civiltà. Non è esagerato – conclude – chiamare alla mobilitazione per la difesa della democrazia, della libertà e di tutte quelle garanzie costituzionali, per primo il principio di uguaglianza, che significa riconoscere che tutti i cittadini hanno lo stesso valore per la società e sono uguali di fronte alla legge e, poi, il divieto di discriminazioni».

(Fonte: Ansa)

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