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Scavare, con le mani e con i mezzi meccanici. Scavare giorno e notte, senza dormire e senza mangiare. Scavare per trovare qualcuno ancora in vita, sotto le macerie di quella che una volta era L’Aquila. Scavare e poi smettere, quando si capisce che non è più tempo di miracoli, e rientrare a casa, per trascorrere la
Pasqua in famiglia, portando negli occhi e nel cuore l’orrore d’Abruzzo.
I cinquanta vigili del fuoco calabresi, partiti la notte tra il 6 e il 7 aprile
sono tornati. Stanchi e increduli. Dopo aver prestato mani e cervello alle
popolazioni colpite dal terremoto, sono stati sostituiti dai colleghi partiti
venerdì e dislocati nei campi di Cagnano Amiterno, Montereale e Capitigliano. Momenti difficili, rivissuti dal comandante Luigi Ricci, funzionario del Comando
provinciale dei vigili del fuoco di Catanzaro. Lui, che nel 2000 coordinò
i soccorsi nell’inferno di fango del camping Le Giare, che nel 1998 fu a Sarno e nel 1980 in Irpinia, è tornato dall’Abruzzo con il cuore pesante.
«Siamo arrivati a L’Aquila la mattina del 7 aprile – ha raccontato – e abbiamo
iniziato subito le operazioni di soccorso nel centro storico. Quando è arrivato il buio, però, tutto si è fatto più terribile. Nelle strade e nelle piazze non c’erano segni di vita. Tra i palazzi non c’era una finestra illuminata». Il capoluogo abruzzese, in poche ore, si era trasformato in una città spettrale. Sotto quelle della Casa dello studente i vigili del fuoco della Calabria hanno scavato per tre giorni. «L’edificio presentava una strana tipologia di crollo – ha
spiegato Ricci – un solaio incrociato lo tratteneva dalla caduta totale. Abbiamo
effettuato sopralluoghi con le unità cinofile e valutazioni tecniche, che ci hanno consentito di capire che le persone si trovavano sul retro del fabbricato. Un’enorme pinza, montata su un escavatore, ha consentito di tagliare e spostare i pilastri, alleggerendo il carico dell’edificio pericolante e scongiurando il rischio di ulteriori crolli. Poi abbiamo iniziato a scavare con le mani».
«In quei momenti il pericolo non conta – ha raccontato ancora Ricci – il desiderio
di fare presto e di trovare gente viva ci spinge a trascurare qualunque rischio.
La contropartita, salvare vite umane, è troppo grande per fermarsi». Troppo importante anche per pensare che a casa, in Calabria, ci sono famiglie che aspettano e pregano, che vivono con gli occhi incollati ai telegiornali.
Scavare era l’unico obiettivo. Trovare qualcuno vivo, come è avvenuto in un edificio di via XX settembre, dal quale è stata estratta una ragazza dopo 36 ore. Un’emozione incredibile. Una vittoria contro il destino, che ha ripagato di tanti altri momenti in cui la morte ha avuto la meglio. Sotto le rovine della Casa dello studente sono stati trovati quattro cadaveri. L’edificio si è accartocciato su se stesso, ai vigili del fuoco non tocca fare analisi né tentare di capire il perché. Ma il dubbio, a chi l’ha visto con i propri occhi, non può che venire: «Ho avuto la sensazione che non tutto quello sfacelo fosse addebitabile solo al terremoto».

2|10]Leggi l’articolo completo su “Il Quotidiano della Calabria” oggi in edicola

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