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Qualcuno avrebbe informato l’ex capo della Protezione civile pugliese, Mario Lerario, che negli uffici regionali erano state piazzate delle cimici. E’ la tesi della Procura di Bari che ieri ha firmato un decreto di perquisizione, eseguito dalla guardia di finanza, nei confronti del giornalista Nicola Lorusso, componente dell’ufficio stampa della Giunta regionale. Secondo gli inquirenti sarebbe stato Lorusso ad avvisare Lerario, il dirigente finito in carcere lo scorso 23 dicembre con l’accusa di corruzione per aver intascato presunte tangenti da 10mila e 20mila euro da due imprenditori.

Il giornalista è indagato per concorso in rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio e favoreggiamento personale. Il sospetto degli inquirenti è che Lorusso, informato da un pubblico ufficiale al momento non identificato dell’esistenza di un decreto che autorizzava intercettazioni ambientali in tre uffici della Regione, lo abbia rivelato a Lerario «aiutandolo così a eludere le investigazioni della polizia giudiziaria».

Gli investigatori vogliono arrivare a colui o colei che avrebbe consegnato o mostrato questo decreto a Lorusso, rischiando di compromettere le indagini sulla gestione Covid. Lerario, infatti, sempre secondo l’ipotesi accusatoria, dopo essere stato informato della presenza di cimici, avrebbe ordinato la bonifica degli uffici.

Per confermare l’ipotesi che viene formulata dal procuratore capo Roberto Rossi e dall’aggiunto Alessio Coccioli, la guardia di finanza ieri mattina ha perquisito casa, ufficio e auto del giornalista, sequestrando supporti informatici, pc e telefoni cellulari «al fine di verificare – si legge nel decreto di perquisizione – se nei giorni precedenti rispetto al rinvenimento delle cimici, Lorusso abbia intrattenuto chat o effettuato chiamate voip con individui che, come dichiarato nel corso della conversazione, gli abbiano fatto leggere il decreto dispositivo delle intercettazioni ambientali in tre stanze».

La conversazione alla quale si fa riferimento risale al 3 settembre del 2021 e viene riportata nel decreto di sequestro notificato ieri al giornalista. Lorusso, nell’ufficio di Lerario direbbe all’ex dirigente della Protezione civile che «il decreto che disponeva la faccenda, che una manaccia me l’ha dato… me lo ha fatto leggere… disponeva qui… e non ho capito bene in quale altro…quale altra stanza …boh».

Una frase captata dalle cimici e che la Procura attribuisce a Nicola Lorusso, difeso dall’avvocato Cristian Di Giusto. In sostanza, secondo l’impianto accusatorio, il giornalista avrebbe detto a Lerario di aver letto un atto investigativo che in quel momento era coperto da segreto istruttorio. Quello stesso giorno, nel medesimo ufficio, due uomini avrebbero poi disattivato i microfoni e, certi di averli rimossi tutti e quindi di non essere ascoltati, hanno detto «Dì! È tutto staccato!».

Nel dialogo intercettato, i due facevano esplicito riferimento a Lerario. Due mesi dopo erano ancora alla ricerca di microspie, in controsoffitti e pareti, nei condizionatori, in bagno, rassicurando che quella operazione di bonifica l’avrebbero ripetuta periodicamente. «Probabilmente il maresciallo si è venuto a mettere qua», diceva a novembre Lerario ad un suo collaboratore.

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