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Il sindaco Alfredo Longo

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«Pur non attivo il decreto legge Zan, qui vige l’ordinanza Longo».
Maruggio è la prima città italiana con un regolamento dove è vietato qualsiasi atto discriminatorio di genere, di razza, orientamento sessuale o condizione fisica. Chi lo contravviene rischia l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 206 euro contemplata nell’articolo 650 del codice penale sull’inosservanza dei provvedimenti di autorità pubblica. La firma sotto il documento di sei pagine è del sindaco Alfredo Longo.

«È fatto assoluto divieto, su tutto il territorio comunale – si legge -, di avviare azioni di propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, istigazione a delinquere e atti discriminatori e violenti per motivi razziali, etnici, religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità». E ancora: «È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali, religiosi o fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità».

Un documento che riporta una serie di premesse di principi e leggi, dalla Risoluzione dei diritti umani del 2011 delle Nazioni Unite che condanna le violenze nei confronti di persone Lgbt alla Carta dei diritti fondamentali dei cittadini dell’Unione europea, fino alla legge Mancino. «Non avevo letto ancora il Ddl Zan – racconta – fin quando non ho visto le scene vergognose dell’esultanza in Senato dopo l’affossamento della legge: lì ho deciso di prenderne visione e dare un segnale politico. La nostra è una comunità aperta che ospita tra il paese e le spiagge della sua Campomarino migliaia di persone di ogni provenienza, comunità migranti, persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender-transessuali, queer e intersessuali, che devono sentirsi libere e tutelate».

Longo ha dato notizia del suo provvedimento sui suoi profili social, sui quali si scusa. «Per tutte le volte che da bambino ho preso in giro un disabile, per tutte le volte che da ragazzo ho usato la parola «ricchione» come un’ingiuria, per tutte le volte che ho fatto un sorrisino ebete nel vedere passeggiare un uomo (o una donna) con un’identità di genere diversa dalla mia e da uomo delle istituzioni e ufficiale di Governo, chiedo scusa a mio figlio, espressione del mio futuro, per essere rappresentato da persone che, senza avere neanche il coraggio di votare in maniera palese, esultano dopo aver affossato una norma che in altri paesi d’Europa è già in vigore da anni».

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