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Immigrati fatti entrare in Italia clandestinamente e poi obbligati a lavorare nei campi del sud, ‘prigionierì dei loro aguzzini e costretti a vivere in condizioni disumane. Per questo sono state emesse 22 ordinanze di custodia cautelare, di cui 16 già eseguite, in un’indagine condotta dal Ros di Lecce dal gennaio 2009 al marzo 2010, con ulteriori specifiche attività nei mesi estivi del 2010 e del 2011, nonchè fino a ottobre 2011. Coinvolto un sodalizio criminale transnazionale, costituito da italiani, algerini, tunisini e sudanesi attivo in Puglia, Sicilia, Calabria e Tunisia. Di nazionalità tunisina e ghanese le vittime.  L’indagine ‘Sabr’, condotta dal Ros di Lecce e compendiata in più informative di reato, ha consentito, tra altri aspetti, di far emergere la sussistenza delle fenomenologie criminose di ‘riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù’ e ‘tratta di personè, in un contesto criminale transnazionale in cui ognuno ricopriva compiti e ruoli ben delineati. Un vero e proprio ‘sistemà criminale, efficientemente organizzato, nato e proliferato anche grazie alla «disperata e obbligata» partecipazione delle vittime.

Il reclutamento all’estero (in molti dei casi in Tunisia) di disperati allettati da false e ingannevoli prospettive di svolgere una regolare attività lavorativa in agricoltura, con paghe dignitose e buone condizioni di vita, avveniva col semplice ma efficace metodo del ‘passa parolà a opera di ‘reclutatorì che provvedevano poi a organizzare i ‘viaggi della speranzà verso la Sicilia e successivamente attraverso i complici in Italia, gli spostamenti massivi degli operai dapprima nell’agro pachinese (Sr) e, in un secondo momento, in quello Neretino (Le). Il sistema criminale era ben organizzato, con rapporti di cooperazione tra ‘datori di lavorò (in particolare a Nardò associatisi in una sorta di ‘cartellò) e ‘caporali o capi cellulà, in grado di dare vita a massicci fenomeni di tratta di persone all’interno dei confini dello Stato italiano, al fine di procurare manodopera in grado di soddisfare le esigenze di lavoro stagionale agricolo in più Regioni d’Italia. Una volta a destinazione gli ‘schiavi operaì erano collocati in campi lontani chilometri dai centri abitati, e di fatto ‘prigionierì dei loro aguzzini. 

La permanenza in alloggi fatiscenti (senza acqua corrente, servizi igienici e corrente elettrica), non affatto casuale era gestita direttamente da ‘datori di lavorò e ‘caporalì. Gli operai erano costrettia lavorare nei campi 10-12 ore al giorno, a condizioni pesanti tali da rasentare i limiti della sopportazione psico-fisica, nonchè remunerati con paghe al di sotto della soglia di povertà (20-25 euro al giorno). Un fenomeno che rappresenta l’estremità finale di un asse che descrive le diverse macro-configurazioni del lavoro dipendente (lavoro formalizzato, lavoro irregolare e lavoro forzato), quello che coinvolge appunto gli immigrati. Parallelamente, le investigazioni hanno messo in evidenza come gli ‘spostamentì massivi (dall’estero ed all’interno dei confini dello Stato) dei lavoratori migranti fossero inevitabilmente connesse alle condizioni di lavoro irregolare che, nelle sue forme più penalizzanti, si è espressa nel lavoro para-schiavistico. Le fasi iniziali d’insediamento degli immigrati, infatti, erano generalmente caratterizzate dalla condizione di irregolarità tale da ‘costringerè i lavoratori stranieri ad accettare qualsiasi tipo di impiego pur di acquisire un minimo reddito per la sopravvivenza.

All’indagine hanno collaborato il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce, il Comando Carabinieri Tutela del Lavoro e il Comando Carabinieri Politiche Agricole e Alimentari, soprattutto in ordine ai contributi pubblici Agea – Ministero Politiche Agricole, di cui hanno beneficiato alcuni degli indagati. 

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