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REGGIO CALABRIA – «Escludo, in modo convinto, che esista oggi in Italia un problema magistratura, esiste, invece, un problema giustizia». È quanto ha affermato il presidente della Corte d’Appello, Giovanni Battista Macrì, nel corso delle considerazioni generali del suo discorso nella cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario. «Escludo che la magistratura – ha proseguito – Macrì – coltivi disegni eversivi e che essa attui un ‘uso politico della giustizià. Possono essersi verificate singole disfunzioni per le quali la magistratura, nella sua interezza, invoca l’intervento, in sede disciplinare del Csm. I magistrati svolgono il loro ruolo nel rispetto del ruolo altrui e, precisamente, del ruolo della politica. E sono certo che nella stragrande maggioranza la magistratura svolga il suo ruolo senza invasioni di campo». «Per questo motivo – ha concluso su questo tema Macrì – ritengo di poter ribadire che in Italia non esiste un problema “magistratura”, esiste un problema “giustizia” che, nella sua interezza, va affrontato e risolto congiuntamente sia dalla Magistratura che dal potere politico». La scopertura totale degli uffici giudiziari di Reggio Calabria è di 21 magistrati giudicanti su un organico di 135, pari a circa il 15%, e le carenze di organico riguardano anche gli uffici della magistratura requirente. «Scoperture che – afferma il presidente della Corte d’Appello di Reggio Calabria – rendono estremamente difficoltoso perseguire una reale efficienza operativa». Particolarmente problematica, poi, è la situazione del Tribunale penale di Palmi il cui inadeguato organico rende difficoltoso conciliare gli impegni derivanti dalla gestione dei processi di competenza della Procura in sede, con quelli provenienti, sempre in numero più cospicuo, dall’ufficio del gip distrettuale». «Nè migliore risulta la situazione del Tribunale di Reggio Calabria – osserva Macrì – ove si assiste a un continuo turn-over di magistrati che determina inevitabili conseguenze negative soprattutto ai danni dell’ufficio gip risultando difficoltoso individuare magistrati aventi i titoli necessari per ricoprire tale funzione». «Malgrado l’impegno dei giudici – annota però Macrì – e dell’apparato amministrativo ciò non di meno è aumentata la pendenza dei procedimenti che è passata nel periodo da 9963 a 10428». Bene la riforma delle circoscrizioni giudiziarie, pollice verso invece per i Tribunali delle imprese e la riforma sulle intercettazioni telefoniche ambientali. «Plauso – afferma Macrì – merita la riforma delle circoscrizioni giudiziarie (se ne parlava da cinquantanni) mentre non appare nè organica nè adeguatamente dimensionata sul territorio la istituzione del Tribunale delle imprese». «Preoccupazione – prosegue – solleva la paventata riforma delle intercettazioni telefoniche ambientali. Invero, trattasi di una tematica talmente delicata che, a prescindere dagli enormi ed ingiustificabili costi di gestione (che, in un momento di crisi economica nazionale e mondiale appaiono obiettivamente inaccettabili) richiede, necessariamente, una normativa che sia ampiamente condivisa e che trovi anche un giusto contemperamento tra il diritto di cronaca ed il diritto di privacy, diritti entrambi riconosciuti dalla nostra Carta Costituzionale. Va escluso, comunque – ha concluso Macrì sull’argomento – che la soluzione possa individuarsi nella semplice riduzione drastica di tale mezzo di indagine solo per alcune tipologie di reato dal momento che una siffatta limitazione si tradurrebbe, di fatto, in un indiscusso regalo per la delinquenza (sia comune che organizzata) se solo si tiene conto che una buona percentuale dei processi che si svolgono in campo nazionale e, in particolare, nella zona del distretto di Reggio Calabria, trovano il loro unico fondamento proprio nel contenuto di intercettazioni telefoniche o ambientali».

CATANZARO – «Si è presenza di un fenomeno profondamente radicato che, nonostante l’impegno delle procure della Repubblica e delle forze dell’ordine, la cui incessante attività attinge risultati sempre più consistenti, continua a seminare lacrime e lutto, oltre che corrodere sempre di più il tessuto sociale». Lo ha detto il presidente della Corte d’Appello di Catanzaro, Gianfranco Migliaccio, analizzato la situazione criminale nel distretto nella relazione per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Un allarme concreto, dunque, aggravato dai rapporti che la ‘ndrangheta riesce a intavolare. «Il procuratore distrettuale di Catanzaro – evidenzia Migliaccio – scrive a chiare note, in un’ampia disamina che copre tutto il territorio del distretto, di legami fra gli apparati criminali veri e propri e la cosiddetta zona grigia della ‘ndrangheta, riferendosi con tale espressione ai ceti produttivi e agli apparati professionali in collegamento con tali sodalizi». Tra questi, Migliaccio evidenzia «in primo luogo quelli operanti nel settore della giustizia e della finanza, quali avvocati, periti e medico-legali, commercialisti». Il presidente ha segnalato «l’elevato numero di procedimenti per il delitto di associazione di tipo mafioso, a dimostrazione della persistente presenza di tale fenomeno sull’intero territorio, nonostante i periodici interventi repressivi posti in essere dalla locale Direzione distrettuale antimafia e dalle forze dell’ordine». La città di Catanzaro sotto la pressione di soggetti di etnia rom soprattutto per lo spaccio di sostanze stupefacenti, mentre l’area a cavallo tra le province di Catanzaro e Crotone subisce l’influenza delle cosche crotonesi. Il presidente Migliaccio, nell’analizzare la situazione criminale nel distretto, durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha offerto due aspetti particolarmente significativi della presenza criminale sul territorio del distretto. Tralasciando aree più attenzionate in questi ultimi tempi, come quella di Lamezia Terme e del Soveratese, Migliaccio ha voluto richiamare quelle zone dove non si registrano allarmi evidenti, con omicidi ed episodi palesi, ma nelle quali la ‘ndrangheta influenza senza grandi fatti esterni. Rispetto al capoluogo calabrese, Migliaccio ha dichiarato che l’area «è caratterizzata prevalentemente dalla presenza di associazioni costituite da soggetti di etnia rom che hanno il sostanziale monopolio del traffico di sostanze stupefacenti». Più complessa la situazione dei rapporti tra le province di Catanzaro e Crotone. In questo ambito il presidente della Corte d’Appello ha ricordato gli intrecci delle consorterie criminali, partendo proprio dai rapporti e dai ruoli dei soggetti di etnia rom, fino a sostenere che si sta «realizzando una significativa influenza nell’area delle cosche di mafia della zona crotonese, tradizionalmente influenti anche nella zona della Presila catanzarese, in quella compresa nella zona ionica a nord della provincia di Catanzaro, al confine della provincia di Crotone fino ad estendersi nei territori limitrofi di quest’ultima provincia». 

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