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VIBO VALENTIA – I Carabinieri hanno proceduto a notificare 10 avvisi di garanzia ad altrettante persone tra dirigenti regionali e imprenditori a Vibo Valentia, Reggio Calabria, Bologna, Ragusa e Roma nell’ambito dell’inchiesta condotta dal sostituto procuratore di Vibo Valentia Michele Sirgiovanni sull’utilizzo dell’acqua proveniente dal bacino dell’Alaco e utilizzata per fornire la rete idrica di numerosi comuni del Vibonese e del Catanzarese.

Gli avvisi di garanzia hanno riguardato 7 funzionari pubblici in servizio presso la Regione Calabria e 3 imprenditori ritenuti responsabili a vario titolo di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e di avvelenamento colposo di acque, inoltre i dirigenti regionali sono stati ritenuti responsabili dal pm di abuso d’ufficio, omissione di atti di ufficio e falso.

Oltre agli avvisi di garanzia i militari del Nas hanno proceduto a delle perquisizioni con contestuale acquisizione di atti presso gli uffici dei dipartimenti Ambiente, Obiettivi strategici e Lavori pubblici della Regione e negli uffici di tre società, una a Vibo Valentia e due a Roma che sono la Laboratori di Roma, la Sogesid di Roma e la Nautilus a Vibo, quest’ultima in fase di liquidazione.

Secondo quanto reso noto dagli stessi inquirenti, l’indagine denominata “Acqua sporca 2” riguarda l’utilizzo ai fini potabili dell’acqua dell’Invaso dell’Alaco poi rivelatasi non idonea al consumo umano. L’invaso, posto al confine tra le province di Vibo Valentia e Catanzaro, serve la rete idrica di numerosi comuni del Vibonese, del basso Ionio catanzarese e di altri comuni della provincia di Catanzaro. L’inchiesta riprende il cammino di indagine già avviato con l’inchiesta “Acqua sporca” (LEGGI LA NOTIZIA DELL’OPERAZIONE SCATTATA NEL 2012) che ha coinvolto 16 persone tra funzionari e amministratori pubblici e dirigenti Sorical.

GUARDA IL VIDEO DELL’OPERAZIONE ORIGINALE

Per quanto riguarda l’indagine odierna, i militari del Nas hanno studiato e comparato i dati forniti dalle numerose analisi eseguite su campioni di acqua presi in vari punti dell’invaso dell’Alaco scoprendo che lo stesso bacino idrico non era mai stato classificato anzi «è emerso – scrivono i militari – che anziché procedere alla classificazione previa analisi delle acque del bacino, erano state analizzate e classificate le acque di due numerose fiumare affluenti, pertanto la classificazione di acque potabili previo trattamento fisico e chimico spinto, affinazione e disinfezione (A3) dell’invaso assegnata dalla Regione risultava non corrispondente al vero».

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Inoltre, nel corso delle indagini i militari hanno scoperto una presunta distrazione di fondi che in origine dovevano servire ad implementare le capacità tecnico-organizzative dell’Arpacal e invece erano stati utilizzati a favore di una azienda privata attraverso un bando di appalto della Regione Calabria la cui copertura finanziaria era sta «illecitamente – scrivono i militari – trovata soltanto dopo lasua aggiudicazione».

Ed è su questo aspetto che è emerso come i fondi fossero originariamente destinati all’implementazione tecnico-organizzativa dell’Arpacal, ma sarebbero stati dirottati verso un’azienda privata. Una “partita” che, secondo quanto emerge, sarebbe stata gestita dall’ex Ufficio del commissario per l’emergenza ambientale con lo svolgimento di una gara d’appalto della Regione Calabria relativa al “Sistema di rilevamento quali/quantitativo dei corpi idrici superficiali” per la quale, secondo l’accusa, è stata illecitamente trovata la copertura finanziaria soltanto dopo la sua aggiudicazione. Per questi motivi, risulterebbe indagato anche un ex commissario per l’emergenza ambientale, del quale però non è stata resa nota l’identità. 

 

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