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QUELLA di Adriano De Luca è «una storia italiana», per citare il Sole 24 Ore. Una di quelle che «delinea l’evoluzione del nostro sistema industriale: dalla egemonia della grande fabbrica del Novecento alla prevalenza della piccola impresa di oggi».

E quando la piccola impresa è come quella di Grugliasco tirata su da questo potentino, capisci che innovaizone e qualità sono più dei numeri un motore di sviluppo.

La Green Bit di Grugliasco, alle porte di Torino, è un’azienda che si è guadagnata una posizione «di preminenza nella tecnologia e nei software per gli scanner ottici di impronte digitali con cui le forze dell’ordine e le amministrazioni pubbliche registrano e poi riconoscono appunto le impronte digitali, il dorso e il palmo della mano». L’edizione di venerdì del Sole 24 Ore dedica un ampio approfondimento alla storia di questa azienda nata dall’impegno di un lucano che ora è una delle sole «quattro aziende ad avere, sull’intera gamma di prodotti, la certificazione dell’Fbi».

Il giornale della Confindustria ne racconta nascita e crescita. Con uno sguardo particolare al protagonista della piccola-grande avventura imprenditoriale. «La raffinatezza hi-tech della Green Bit – riconosciuta dalla Fbi – è figlia della globalizzazione degli anni Duemila, ma nipote della cultura tecnologica e manageriale formatasi e sedimentatasi nella Fiat e nella Olivetti».

Adriano De Luca era uno studente quando, nel 1972, ha lasciato Potenza per per iscriversi al Politecnico di Torino. La curiosità che il giornalista Paolo Bricco scova dalla biografia di De Luca, ne rintraccia la passione e il talento musicale: è stato anche bassista di Lucio Battisti.

De Luca ha anche un passato di lavoro in Fiat: «Vittorio Ghidella mi scelse come assistente, ma avevo già deciso di licenziarmi, mi sentivo un imprenditore». Poi la propria azienda, Eicas, fondata nel 1984, fino a diventare nel 1987 partner e amministratore delegato della Syntax Factory Automation (sua al 30 per cento e al 70 della Olivetti).

Ma la «storia italiana» prosegue. «Oggi la Green Bit ha 30 addetti a Grugliasco, 5 ricercatori – tutti con il dottorato – a Potenza e 25 occupati a Tianjin, a cento chilometri da Pechino».

Le cifre sono importanti: il fatturato aggregato del gruppo dell’anno scorso è stato pari a 10 milioni di euro. «Quest’anno salirà a 13 milioni di euro».

La crescita dei numeri, quest’anno, ha un fattore particolare: la polizia di Pechino adotta gli scanner palmari che hanno la sua tecnologia e il suo software, in particolare gli algoritmi in grado di effettuare l’incrocio fra l’immagine del polpastrello e le banche dati che contengono milioni di impronte digitali.

Dice De Luca, intervistato dal Sole: «Realizziamo la parte più tecnologica e predisponiamo gli algoritimi della macchina, che viene poi assemblata dalla nostra consociata cinese e venduta ad un integratore di sistemi locale. Nel caso di Pechino è stato Zdxa. In altre tre province lavoriamo con Hisign. In Cina, dove hanno stabilito che entro il 2018 dovranno esserci 40mila scanner palmari, i primi 4mila sono nostri. Abbiamo quasi tutto il mercato. A Grugliasco facciamo i prodotti che vanno in tutto il mondo. A Tianjin produciamo per il mercato interno, con una catena della fornitura che abbiamo impiegato tre anni a selezionare».

In Italia hanno la tecnologia di Green Bit 1.200 scanner palmari adottati nelle questure, negli uffici per l’immigrazione e nei comandi dei carabinieri; oltre 2.000 scanner di impronta singola negli uffici per il passaporto elettronico. In Spagna, dal 2007 ad oggi, 39 milioni di carte di identità elettroniche hanno raccolto l’impronta del titolare con i suoi dispositivi. Il futuro è mercato internazionale.

Ma, fa notare Bricco, «il passato affonda le radici nella fine del paradigma della grande impresa italiana, il delicato passaggio degli anni Novanta in cui ci troviamo ancora immersi».

De Luca ha rilevato la Green Bit nel 1997 da una Olivetti in profonda crisi. L’anno prima aveva acquistato un ramo d’azienda specializzato in ottica e in algoritmi per il riconoscimento delle impronte digitali in Russia.

Sguardo dall’interno su piccola e grande impresa. «A nostro modo siamo un caso paradigmatico. Ma, senza quanto appreso nella grande impresa, non avremmo fatto nulla. Penso al controllo di gestione, che è stato uno dei punti di forza della Olivetti di Carlo De Benedetti. Noi lo eseguiamo in maniera ossessiva. La piccola impresa classica, però, adotta poco e male le procedure e i budget». 

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