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POTENZA – Più che di una rissa i presenti raccontano di un picchiatore in azione, e in tribunale a Potenza ieri mattina non si parlava davvero d’altro.

Sta ancora valutando se sporgere querela o meno l’uomo, un militare della Guardia di finanza residente in un paese della provincia (le sue generalità saranno omesse a tutela dei minori coinvolti), aggredito meno di 24 ore fa al pian terreno del Palazzo di giustizia del capoluogo. Autore del gesto, a cui hanno assistito numerosi avvocati oltre ai titolari delle tre librerie giuridiche che si trovano di fronte al punto dove è accaduto tutto, sarebbe stato un volto noto ai corridoi dell’“astronave” di via Nazario Sauro. Se infatti le voci della prima ora parlavano soltanto di “una lite tra rumeni” il Quotidiano ha raccolto segnalazioni e testimonianze che indicano in maniera univoca il “picchiatore” in Carmine Guarino, superteste dell’Direzione distrettuale antimafia nei processi contro il boss Renato Martorano e i finanziatori dei suoi giri d’usura.

Dietro il fattaccio che si è svolto nell’arco di un paio di minuti e si è concluso con l’intervento degli agenti della Ronda in servizio nel Palazzo di giustizia, che hanno separato i “contendenti” accompagnando Guarino all’uscita, c’è una storia che si trascina da almeno 5 anni. Invero l’uomo aggredito non è che l’attuale compagno di una ex fiamma di Guarino, che qualcuno ancora ricorda come il re dell’asfalto e affini del capoluogo, prima della caduta in disgrazia anche per colpa di quei soldi a strozzo.

C’era anche lei, o meglio la sua voce, nei nastri registrati dalle microspie dei carabinieri del Ros di Potenza dentro l’appartamento di Guarino, gli stessi che hanno permesso agli inquirenti di ricostruire come funzionava il sistema dei prestiti all’imprenditore garantiti dal suo “amico” boss. E proprio in una frase pronunciata dalla donna si è sostanziata l’accusa di estorsione a carico di Martorano che assieme a quella di usura aggravata gli è costata una condanna definitiva a 14 anni di prigione. Lei gli riferiva di temere per le sue bambine, anzi le loro bambine. Dato che il boss aveva minacciato di pren dersela con loro se lui, Guarino, non avesse onorato gli impegni con i suoi strozzini. Così da un lato è arrivata la sentenza a carico di Martorano, ma dall’altro la procura distrettuale antimafia ha avviato anche un distinto procedimento in sede civile per il riconoscimento di paternità delle bambine in questione, allegando alla segnalazione proprio la trascrizione di quella conversazione.

Ora di fronte a tutto ciò il Tribunale non ha potuto far altro che nominare un curatore per le due bambine. Poi però si è dovuto fermare perché in realtà entrambe già risultano figlie legittime della madre e dell’attuale compagno della donna, cosa che preclude un secondo riconoscimento di paternità da parte di Guarino a meno che il loro “primo” genitore non decida di farsi da parte. Ed è qui che scatta il contrasto tra i due uomini, sfociato anche in alcune querele, sempre da parte di Guarino, che non sembrano aver avuto esito. Fino all’esplosione di ieri e alla probabile inversione dei ruoli.

l.amato@luedi.it 

 

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