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COSENZA – «Mi chiamo Ahmad, sono musulmano. Io e Muaz stiamo seguendo le notizie su Parigi da quando sono successi gli attacchi. Preghiamo per i morti ma nello stesso tempo abbiamo molta paura. Da lunedì quando andremo per la strada basterà guardare la gente che ci ascolta parlare in arabo per capire dal loro sguardo che per loro siamo dei terroristi».

Ahmad e Muàz sono egiziani e studiano ingegneria all’Università della Calabria. Muaz vuole diventare ingegnere informatico e la sua grande passione è la fotografia, che lo ha portato già a vincere dei premi. Dopo la laurea triennale pensa di iscriversi ad un master per perfezionare l’uso di programmi di post produzione fotografica. Ahmad invece diventerà ingegnere elettronico, ma è interessato anche all’informatica e all’open source. Quando era ancora uno studente delle superiori in Egitto aveva lavorato ad un progetto sul controllo numerico e continuare gli studi nel Paese di nascita di Arduino gli era parsa un’occasione da non perdere.

LE TESTIMONIANZE: LA PAURA DEI CALABRESI IN FRANCIA

Al Cairo Ahmad e Muàz hanno frequentato la scuola di studi islamici fino alle “medie” e poi l’istituto salesiano “Don Bosco”: per il 70 per cento i loro compagni erano cristiani. «A 15, 16 anni siamo stati educati alla diversità religiosa e culturale e ringrazio Dio per aver avuto questa possibilità», dice Muàz che vive in Italia già da cinque anni. Nel nostro Paese è arrivato grazie ad una borsa di studio per completare gli studi superiori in Italia. Ha frequentato un istituto di Fuscaldo solo per un anno: le competenze che aveva già acquisito al Cairo gli hanno consentito di superare i test d’ammissione all’Unical. Oggi però Muàz non sa più se il suo futuro dopo la laurea potrà essere in Italia e in Europa.

LA STORIA: IL FOTOGRAFO CALABRESE SUL LUOGO DELLA STRAGE

«Forse potrei andare in Turchia, dal momento che la maggioranza della popolazione è di fede musulmana. Ora sono costretto a fare queste considerazioni», dice. Ha letto il titolo di Libero, ha pensato a come vive sua zia, da trent’anni negli Stati Uniti, dopo l’11 settembre. «È cittadina americana, ma porta il velo e non vi dico le discriminazioni che ha subito – racconta – Suo marito ha anche perso il lavoro».

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Dopo l’orrore di Parigi, neanche Ahmad riesce a fare più progetti per il futuro. «Capisco la paura. Anche noi in Egitto abbiamo paura del terrorismo. Ma la generalizzazione è un’altra cosa. Non si può fare di tutta l’erba un fascio. Quando la paura viene usata per altri scopi, per altri fini, le vittime – dice – sono sempre gli innocenti».

Il clima in Italia e anche in Calabria è già cambiato da un po’ nei loro confronti. «I controlli sono più rigidi – dice Muàz – Non possiamo accedere a servizi bancari perché veniamo dall’Egitto. Ma io e Ahmad siamo sempre gli stessi ragazzi che vivono qui da diversi anni, che studiano con voi o organizzano corsi di fotografia e seminari sull’open source. E come noi tanti altri qui e nelle altre regioni. A Milano c’è una forte comunità musulmana, da tanti anni: voi italiani ci conoscete bene, per voi non possiamo essere più degli estranei. Quando sono all’estero o quando torno in Egitto e mi capita di sentire pregiudizi sugli italiani o sui calabresi io vi difendo, perché vi conosco. Se qualcuno dice che siete tutti mafiosi reagisco. Io conosco l’accoglienza e l’ospitalità di cui sapete dare prova. Sono stato fidanzato con una ragazza calabrese, passavo ogni weekend con la sua famiglia che mi riempiva di pomodori e melenzane sott’olio. Questa è la Calabria che ho imparato a conoscere e credo che anche voi abbiate imparato a conoscere noi».

Anche Ahmad nei suoi tre anni qui in Italia ha visto mutare gli sguardi della gente mentre i sorrisi, che all’arrivo nel nostro Paese lo avevano accolto, si spegnevano. Pochi giorni fa è andato in Comune per cambiare dei dati e ha avvertito, racconta, una tensione che prima non c’era. La quotidianità, la normalità del vivere insieme pur pregando in giorni differenti sembra sia sbiadita.

«Ma è dalla chiusura che nasce il terrorismo. Noi abbiamo avuto la fortuna di studiare l’Islam con maestri che ci hanno dato gli strumenti critici per interpretare e contestualizzare. A noi è stato insegnato che non si uccide – sottolinea Ahmad – e che l’Islam non vuole questo. Poi arriva l’Isis, estrae dei versi dal Corano che sembrano dire altro e li decontestualizza. Ma così cambia l’interpretazione, cambia il messaggio».

Ahmad e Muàz però all’Unical e a Cosenza hanno tanti amici, che già ieri hanno risposto con affetto ai loro post su Facebook. «Non siete soli – scrive Francesco ad Ahmad – e se capita uno sguardo crudo e malizioso, dall’altro trovi anche l’abbraccio e la serenità di occhi che rispettano la vita».

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