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NEI tempi dettati dal Direttore generale del San Carlo, Giampiero Maruggi, la commissione d’inchiesta interna – composta da Bruno Mandarino, Direttore sanitario, Mario Greco, responsabile di “Medicina legale” e Angela Bellettieri, responsabile dell’area “Risk management” – ha concluso il suo lavoro che è stato inviato, nella giornata di ieri, sia agli ispettori ministeriali che a quelli regionali.

Sul contenuto della relazione redatta da Mandarino, Greco e Bellettieri, nulla è trapelato. E questo in linea con quanto previsto dall’iter “burocratico” da seguire in casi di presunta malasanità.

Visto, però, il clima già di per sé  avvelenato nell’Unità operativa di Cardiochirurgia prima che esplodesse la bomba dell’audio schock, forse sarebbe stato più opportuno, senza entrare in dettagli tecnici, rendere noto, anche per sommi capi, di quanto appurato dalla commissione interna sul decesso, avvenuto nel maggio del 2013, della settantunenne calabrese.

Una questione di opportunità e di politica della trasparenza.

Trasparenza e chiarezza a cui tutti – ultimo in ordine di tempo il presidente della Regione, Marcello Pittella – dopo la sovraesposizione mediatica delle ultime settimane sul presunto caso di malasanità , si sono appellati.

Così, però, non è stato. Lo impone la legge ma un piccolo “strappo” – a dimostrazione che l’Azienda ospedaliera come ribadito più e più volte dai suoi vertici «non ha nulla da nascondere» – forse lo si poteva fare. Onde evitare di prestare il fianco a ulteriori illazioni su “quel tutti sapevano” fissato su nastro  da Michele Cavone. Perché  a oggi, salvo colpi di scena clamorosi,  è sua la voce narrante. È lui che, in preda a un rimorso di coscienza, si sfoga con un collega.

Collega che, stando a quanto appurato dall’Azienda ospedaliera, sarebbe Fausto Saponara  anche se quest’ultimo ha smentito di essere l’autore della registrazione.

Se non ci sono dubbi sulla data del decesso della donna – maggio del 2013 – rimangono ancora tutta una serie di punti oscuri su cui farà luce la magistratura che già dai primi del 2014 sta indagando, a seguito di un esposto anonimo – sulla morte della settantunenne calabrese.

Uno dei punti oscuri è: quella registrazione a che epoca risale? Nell’immediatezza di quanto accaduto in sala operatoria? Un paio di giorni o mesi dopo? O a scoppio “molto” ritardato?

Se lo sfogo è avvenuto nel maggio del 2013 quel nastro in quale “cassetto” è rimasto per più di un anno visto che è saltato fuori solo lo scorso luglio?.

Se, invece, la confessione è avvenuta a scoppio ritardato – un tot di tempo prima della sua divulgazione – perché quel nastro non è stato portato –  o fatto recapitare –  in Procura come accaduto, invece,  con l’esposto anonimo? Perché Michele Cavone non si è presentato in Procura primo o dopo il suo sfogo?

Ora, a prescindere dalle commissioni d’inchiesta interne, regionali e ministeriali, la magistratura continua a indagare  a tutto campo e senza  trascurare nessun dettaglio. Anche quello che, in apparenza a occhi profani, potrebbe apparire come insignificante.

Un lavoro investigativo non facile per quell’intreccio – costruito ad hoc? – che a oggi vede in un unico calderone politica, sanità e magistratura. Insomma veleni, ombre e polpette avvelenate per tutti. Il tutto  ”strumentalizzando” la morte  di una donna. 

Ed ecco che allora, proprio per non prestare il fianco a ulteriori strumentalizzazioni o evitare che altri corvi gettino ombre,  i vertici del San Carlo avrebbero fatto bene a dire almeno qualche parola.

a.giammaria@luedi.it

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