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IN un Paese dove Sud e Nord mostrano di attraversare «stade diverse», è il Mezzogiorno a percorrere quella più dissestatta. E se anche il dato lucano sulla crescita, tra le sei regioni del Sud, è quello “meno drammatico”, non c’è di che stare tranquilli.
Lo scenario proposto ieri dal rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno racconta di un Sud in stagnazione, per il secondo anno consecutivo, con un tasso di crescita del pil dello 0,1 per cento nel 2011 (mentre il Centro-Nord cresce invece dello 0,8 per cento, con una media nazionale dello 0,6). Tutte le regioni meridionali presentano valori inferiori al dato nazionale e oscillano tra un minimo del -0,1 per cento della Calabria e un massimo del +0,5 per cento di Basilicata e Abruzzo. La verità è che lo stesso De Filippo deve ammettere come seppure i dati forniti dallo Svimez siano confortanti per la Basilicata, «se la nave Italia affonda è davvero di poca rilevanza stare nella stiva o sulla coffa, perche, secondo prima o secondo dopo, si affonda tutti».
Del resto, come fa notare il senatore di Futuro e libertà, Egidio Digilio, non si può esultare per un incremento da prefisso telefonico del Pil lucano. E poi, non era stato proprio De Filippo «di fronte ai rapporti precedenti, come Bankitalia e Unioncamere, tutti negativi a definire il pil «un indicatore obsoleto, non più in grado di fotografare la reale condizione economico-sociale di una comunità»?.
Forse De Filippo, suggerisce Digilio, aveva ipotizzato un rapporto Svimez con segnali più incoraggianti. Così non è stato, se pure la Cgil raccoglie il rapporto come la cronaca di un mancato riscatto.
La ricetta proposta dalla Svimez guarda alla ripresa della produzione: «Questo processo di declino – si legge nel rapporto – potrà essere interrotto solo con una adeguata domanda privata e pubblica capace di favorire una ripresa della produzione e un aumento di posti di lavoro stabili. Il rischio altrimenti è che la perdita di tessuto produttivo diventi permanente». Detto con le parole del governatore lucano, «affidarsi a un’economia autonoma della Padania è come voler aumentare l’export in Atlantide». Fantasioso.
Dalla prospettiva «necessaria» di crescita, dunque, non si scappa. La base di partenza potrebbe essere promettente, dice De Filippo, visto che proprio il Mezzogiorno ha dimostrato di saper mettere mano a un modello di condivisione». E’ accaduto, ad esempio, con il piano di infrastrutture per il Mezzogiorno, costruito con il dialogo tra il ministro al Rapporto con le Regioni, Raffaele Fitto e i governatori del Sud. «Anche se i fondi Fas erano stati già falcidiati dal Governo», questo modus operandi «rappresenta un’oasi di politiche di sviluppo nel deserto della politica di risanamento che questo Governo ha inteso come sinonimo di taglio. Eppure, è opinione condivisa, l’Italia può crescere solo se cresce il Sud». In Basilicata c’è un’area che può diventare “duplice opportunità”. E’ lo stesso rapporto Svimez a citare la vicenda energetica della Val d’Agri. «Nell’immediato, questa esperienza – ricorda De Filippo – potrebbe alleggerire la bolletta petrolifera nazionale fino ad un probabile 15 per cento». Ma il vantaggio sarebbe anche futuro, con la possibilità di rendere quell’area «un laboratorio nazionale, attrezzato sul fronte delle emergenze e competenze energetiche». Se il Paese volesse, spiega ancora De Filippo, potrebbe «beneficiare oggi dei vantaggi delle estrazioni e, con una frazione del solo maggiore gettito fiscale che otterrebbe da questa “Libia domestica”, costruire lo sviluppo della Basilicata e una più duratura certezza energetica». Percorso già messo nero su bianco nel memorandum d’intenti sottoscritto da Regione e Governo ormai da mesi, da De Filippo, dal sottosegretario lucano Viceconte e dal sottosegretario Saglia. Eppure, nonostante il «sostegno bipartisan delle forze politiche lucane, ci si imbatte in resistenze che si ammantano di ragioni economiche, ma sono fondamentalmente culturali». Per questo, ammette De Filippo, ha chiesto al ministro Fitto «di far rientrare la declinazione del memorandum all’interno del decreto Sviluppo che il governo sta preparando, contemperando le esigenze di sostenibilità ambientale e di iter celeri per attestarla, con le potenzialità di sfruttare in termini di sviluppo questa risorsa».
Il dubbio spetta a Digilio: si può davvero puntare tutto sulla “Libia domestica”? L’invito resta a un «segnale di discontinuità rispetto alla gestione delle risorse petrolifere e della concertazione con le compagnie e il Governo». E poco c’entra iscriversi tra «i catastrofisti in buona compagnia della Bankitalia» o tra «gli ottimisti dello staff del presidente». La ricetta di Digilio per la crescita è più generica (e chissà possa essere efficace): politiche industriali e di sviluppo del territorio basate innanzitutto su una spesa dei fondi comunitari, «senza sprechi».

Sara Lorusso

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