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POTENZA – Fratture sul costato, più alcuni segni tutti da decifrare sull’osso ioide: elementi ancora incerti, a questo stadio delle indagini, ma che a prima vista potrebbero far propendere il risultato dell’esame verso la tesi dell’omicidio. 

Si sono svolti per tutta la giornata di ieri a Cava dei Tirreni e all’ospedale Giovanni da Procida di Salerno gli accertamenti autoptici sulla salma di Anna Esposito, il commissario della Digos di Potenza trovata priva di vita la mattina del 12 marzo 2001 nell’appartamento di servizio, nella caserma Zaccagnino della polizia, nel capoluogo lucano. 

A effettuarli è stato l’anatomopatologo barese Francesco Introna, dopo che il cadavere della donna è stato riesumato dal cimitero di Cava, per ordine della Procura della Repubblica di Potenza nell’ambito dell’inchiesta-ter sulla morte della donna, nella quale il giornalista della Rai Luigi Di Lauro, che si è sempre detto innocente, è indagato per omicidio volontario.

 

Con Introna c’erano anche i consulenti incaricati dalla difesa di Di Lauro, e quelli della famiglia della poliziotta, il professor Antonello Crisci e Pasquale Giugliano: gli autori della perizia che ha portato alla riapertura delle indagini sul caso archiviato nel 2001 come suicidio. E in serata è iniziato già lo studio sui risultati della Tac e delle radiografie effettuate sul cadavere, da cui sarebbero emersi diversi elementi d’interesse. A cominciare proprio dalle fratture sul costato della donna, che non erano state rilevate dall’autopsia effettuata subito dopo la morte. 

Per chiarire se tratti del prodotto di un trauma precedente, se non addirittura contestuale al decesso, o soltanto di un processo naturale di decomposizione serviranno gli esami istologici disposti da Introna, che ha fissato un nuovo incontro con gli altri consulenti il 13 gennaio, e ha prelevato l’osso ioide per effettuare ulteriori analisi. 

Il professore del dipartimento di Medicina legale del policlinico universitario di Bari, che in passato si è già occupato di gialli lucani come l’omicidio di Elisa Claps e la morte dei fidanzatini di Policoro, oltre a casi eclatanti come quello dei fratellini di Gravina, è stato incaricato dalla Procura di Potenza per attestare con quanta più certezza possibile la causa della morte del commissario della Digos, trovato “impiccato” alla maniglia della porta del bagno del suo appartamento di servizio il 12 marzo del 2001. 

Di «un’impiccagione atipica e incompleta» avevano parlato i primi consulenti incaricati all’epoca dalla procura, ma «in assenza di lesioni traumatiche e presenza di sostanze alcoliche e tossiche nel sangue» avevano concluso che il decesso era stato causato da un’«asfissia da impiccamento» compatibile con un gesto autolesionista. Una tesi raccolta dal pm che ha disposto l’archiviazione del fascicolo.

Dodici anni più tardi una nuova consulenza disposta dalla Procura di Potenza aveva escluso la possibilità di rinvenire elementi utili dalla riesumazione del corpo della donna, dato il tempo trascorso, ma non aveva escluso la possibilità di un omicidio camuffato da suicidio, confermando i sospetti del padre. Di qui l’avvio delle indagini sulle frequentazioni del commissario della Digos che hanno portato all’iscrizione nel registro degli indagati dell’ex compagno, il giornalista Luigi Di Lauro.

Poi a distanza di meno di un anno il fascicolo è passato nelle mani di altri due magistrati, Francesco Basentini e Valentina Santoro, che hanno deciso di procedere comunque alla riesumazione del corpo. Troppo poco affermare che non si può escludere un omicidio per dire con certezza che non è stato suicidio. Questo il ragionamento seguito dagli inquirenti. 

A fare riemergere il caso della morte di Anna Esposito dai sotterranei del Tribunale del capoluogo erano stati i sospetti di un collegamento con il mistero della “scomparsa” di Elisa Claps e del duplice omicidio Gianfredi, denunciati nel 2010 dai familiari della 35enne, separata e madre di due bambine. Per questo motivo i faldoni erano partiti in direzione Salerno, sede un tempo competente per le inchieste che coinvolgevano anche magistrati in servizio nel distretto giudiziario lucano, per poi tornare a Potenza, dopo che i pm campani ne avevano escluso la sussistenza.

 

 

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