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Emergono quattro nuovi verbali d’interrogatori di Giuseppina Pesce e undici nuove ipotesi di reato nei confronti dei membri della cosca Pesce di Rosarno. E’ quanto è stato annunciato ieri mattina durante l’udienza del processo All Inside dal Pm della Dda di Reggio Calabria, Alessandra Cerreti. Le nuove dichiarazioni della collaboratrice di giustizia, insieme a quelle della testimone di giustizia Rosa Ferraro, hanno permesso agli inquirenti di formulare nuove ipotesi di accusa nei confronti di alcuni imputati e di altri soggetti ritenuti vicini alla cosca. E spunta il tentativo di sequestro a cui sarebbe scampata nel febbraio del 2005, Ilaria Latorre, moglie di Francesco Pesce (’84) di fatto separata dal marito, figlio del boss Salvatore Pesce, che era andata a vivere a casa dei genitori. Il compito di “riprenderla” l’avrebbe assunto un vero e proprio “commando” formato dallo stesso Pesce, da Andrea Fortugno, Rocco e Gaetano Palaia (i primi tre imputati nel processo in corso a Palmi, l’ultimo tratto in arresto pochi giorni fa), che, con il volto incappucciato e armati di pistola e fucile a pompa, si sarebbero recati presso la casa dei Latorre per rapirla.
In casa si trovavano i genitori e la sorella della Latorre, minacciati di non intralciare le operazioni dei presunti rapitori, ma non la moglie di Pesce, che per puro caso era altrove. Tra le nuove accuse anche quelle che vedrebbero in Salvatore Pesce, Giuseppe Ferraro (in qualità di mandanti), Francesco Pesce e Rocco Carbone, gli autori in concorso della rapina alla gioielleria “Gelanzé” avvenuta a Rosarno nel settembre del 2005. Apparterrebbero a quel “colpo” i gioielli sequestrati nei giorni scorsi dalle forze dell’ordine durante una perquisizione effettuata sulla scorta delle indicazioni fornite da Giuseppina Pesce.
Tra gli altri reati ipotizzati, la detenzione e il traffico di stupefacenti e la falsificazione di documenti anagrafici riportanti l’intestazione del Comune di Rosarno, procurati da Domenico Varrà, dipendente comunale ed ex presidente della Rosarnese Calcio, che avrebbero certificato legami di parentela creati ad hoc per permettere i colloqui in carcere tra detenuti e presunti affiliati.
Nel corso dell’udienza di ieri è stato sentito anche Francesco Romano, direttore della filiale della Banca Carime di Rosarno tra il 2004 e il 2007, che ha testimoniato sull’apertura di alcuni conti correnti intestati a terzi ma riconducibili a Salvatore Pesce, che in quanto protestato non aveva la facoltà di accenderne. Conti che servivano da appoggio per l’attività commerciale che Pesce gestiva di fatto con la sua famiglia (pur non essendone l’intestatario) ma che venivano chiusi nel giro di poco tempo a causa della mancata copertura degli assegni che venivano emessi. I conti erano stati aperti da Erminda Paterno, dalla stessa Rosa Ferraro, Ilaria LaTorre e Teresa Mazzuoccolo, ma ciascuno di essi poteva essere ricondotto a Salvatore Pesce o membri della sua famiglia.
Emblematiche sul clima e sul potere dei Pesce a Rosarno alcune dichiarazioni del direttore di banca. Romano, in occasione dell’apertura di un nuovo conto corrente ha raccontato di aver avuto un breve incontro con l’esponente della ‘ndrina: «non avevo nessuna intenzione di negare un aiuto ai Pesce perché sapevo della loro influenza – sono state le parole del direttore di banca – quando ci siamo incontrati non sapevo chi fosse ma quando ho chiesto ai miei collaboratori tutti mi hanno detto che era Salvatore Pesce. Mi sono detto “evitiamo” e diamo l’ok all’apertura del conto corrente».

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