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POTENZA – Il gancetto del reggiseno di Meredith come la maglia di Elisa. È quanto ha sostenuto il pm di Perugia Manuela Comodi nella sua arringa al processo d’appello contro Raffaele Sollecito e Amanda Knox (in foto) per l’omicidio della studentessa inglese. Ma alla fine la Corte le ha dato torto.
Era destino che il lavoro dei periti incaricati dal gip di Salerno per l’incidente probatorio sui reperti del sottotetto della chiesa della Trinità facesse scuola. Eppure nessuno poteva prevedere che accadesse così in fretta, tantomeno che la lezione del processo inglese per l’omicidio di Heather Barnett venisse subito smentita.
A sorpresa, a meno di tre mesi dalla sentenza che ha condannato Danilo Restivo nel processo per la morte della sarta di Bournemouth, il suo nome è risuonato tra le mura del Palazzo di giustizia del capoluogo umbro. Al centro della discussione c’era il valore delle prove scientifiche raccolte dall’accusa e in particolare il lavoro del capo delle equipe di genetisti della Polizia scientifica di Roma, Patrizia Stefanoni, la stessa che ha demolito la relazione del professor Vincenzo Pascali, che aveva escluso a priori la possibilità di ottenere risultati attendibili dall’esame delle tracce sul maglioncino di Elisa, considerato soprattutto il tempo trascorso. Quegli esami li avrebbero portati avanti i Ris raccogliendo quella che oggi passa per essere la prova regina dell’accusa contro Restivo. A Salerno non è stata quindi la prima volta che Pascali e Patrizia Stefanoni si sono scontrati in udienza, dal momento che proprio nel processo di primo grado per l’omicidio di Meredith il capo del dipartimento di genetica dell’università Cattolica di Roma aveva censurato la tecnica utilizzata per l’estrazione del profilo genetico di Sollecito dal gancetto del reggiseno(vedi Quotidiano del 20/10/2010, ndr), unica vera prova del fatto che il ragazzo pugliese avesse partecipato all’aggressione. I rilievi di Pascali, considerato un luminare della materia, sarebbero rientrati nel processo d’appello attraverso una nuova perizia disposta dalla Corte, che ha fatto scattare la dura reprimenda del pm. «Il gancetto di reggiseno repertato 46 giorni dopo essere stato trovato? E allora la felpa di Elisa Claps analizzata a distanza di 20 anni?». Manuela Comodi ha usato questo paragone per ribattere all’ipotesi di contaminazione del reperto. Poi si è rivolta alla Corte per denunciare «l’imbarazzante performance» proprio di quei periti, «che hanno tradito la vostra fiducia», sostenendo la loro «assoluta inadeguatezza».
«Affidereste il matrimonio di vostra figlia – ha chiesto – a un cuoco che conosce tutte le ricette ma non ha mai cucinato?». Il pm nella fase iniziale della sua requisitoria aveva infatti ricordato il fuoco di fila a cui erano stati sottoposti i periti italiani, tra i quali la stessa Patrizia Stefanoni, di nuovo nel processo che si è svolto in Inghilterra a Restivo per l’omicidio Barnett, un processo dove la prova della presenza del Dna di Danilo sul maglioncino di Elisa ha avuto un peso molto importante. Per i legali e i giudici d’oltremanica il curriculum di ognuno di questi periti andava esaminato, e lo è stato, per riuscire a valutare appieno la loro attendibilità, quindi formazione ed esperienze sul campo, mentre al pm di Perugia sarebbe stato impedito di andare oltre i titoli accademici di quelli che di fatto stavano smontando l’impianto scientifico dell’accusa. Ma l’Italia, si sa, non è l’Inghilterra.

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