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POTENZA – «Ogni 15 giorni» la ditta di Leonardo Mecca avrebbe preso tra i «35-e i 40mila euro» di commesse dalla Regione. In più soltanto il mese prima, «si era aggiudicato la “manutenzione” degli impianti della stessa grazie alla complicità di un funzionario».

E’ un’intercettazione tra due imprenditori lo spunto da cui è partito il secondo filone dell’ultima inchiesta su mazzette e appalti truccati dell’Antimafia lucana.

Nel mirino ci sono gli affari della ditta Mecca, che a settembre dell’anno scorso ha smentito tutti i pronostici e si è aggiudicata la gara milionaria per la manutenzione degli impianti termici dei palazzi di via Verrastro.

Con un’offerta da un milione e 90mila euro in tre anni (la base d’asta era di 3milioni e 200mila euro in 5 anni) Mecca è riuscito a superare chi gestiva l’appalto da sempre. Un gruppo, quello dei De Vivo, che gli impianti termici dei palazzi della Regione in parte li aveva pure costruiti, e ancora oggi fattura enne volte rispetto al suo concorrente.

A parlare per primi degli “agganci” di Mecca erano stati due suoi “colleghi”. 

Da venerdì mattina Bartolo Santoro è agli arresti domiciliari, mentre Donato Colangelo ha l’obbligo di presentarsi in Questura.  Mecca invece  ha ricevuto “soltanto” un avviso di conclusione delle indagini per turbativa d’asta a proposito di un appalto da 23mila euro del Comune di Potenza 

Assieme avrebbero fatto parte di uno dei “cartelli” individuati dagli investigatori. “Cordate” di imprenditori che grazie ad alcuni funzionari compiacenti riuscivano a decidere gli inviti alla gare bandite da varie amministrazioni. Quindi concordavano le offerte al minimo ribasso per spartirsi la differenza, anche col sistema dei subappalti.

Stando a quanto emerge dall’inchiesta condotta dal pm Francesco Basentini il meccanismo sarebbe stato collaudato, ma non proprio perfetto. Infatti è a causa di un “accordo” saltato su un lavoro a Policoro che le microspie piazzate dagli agenti della mobile di Potenza il 16 ottobre del 2012 hanno registrato lo sfogo di Santoro con Donato Colangelo.

Il bersaglio della sua invettiva è Leonardo Mecca, “colpevole” di essersi dimenticato di lui, come di un altro imprenditore di Forenza, stufo di attendere «il suo turno» e di sentire giustificazioni come «non ti preoccupare che prima o poi te lo faccio prendere pure a te».

Poi il riferimento alla Regione e al fatto che all’impresa Mecca «ogni 15 giorni» venivano affidati lavori per «35-40mila euro».

Un caso? Non certo per Santoro che subito dopo cita l’appalto della manutenzione degli impianti termici conquistato grazie alle «complicità» all’interno degli uffici di via Verrastro.

Il gip Rosa Larocca nell’ordinanza di misure cautelari non aggiunge altro. Ma il Quotidiano è in grado di ricostruire l’identità del «funzionario» in questione. Di fatto già la scorsa estate i sospetti degli inquirenti erano venuti a galla con la notifica dei primi avvisi di proroga delle indagini.

La comunicazione riportava anche la notizia dell’avvenuta iscrizione nel registro degli indagati con l’accusa di corruzione e turbativa d’asta. Tra i suoi destinatari sia Leonardo Mecca che Dionigi Pastore, il funzionario dell’Ufficio provveditorato e patrimonio della Presidenza della giunta regionale responsabile proprio della gara per la manutenzione degli impianti termici.

«E’ stata una gara a pubblico incanto – aveva replicato l’avvocato Tuccino Pace che assiste l’imprenditore 57enne – pubblicizzata sulla Gazzetta Ufficiale a livello nazionale, con un bando aperto a tutte le imprese interessate a partecipare». Perciò: «Nessuna turbativa d’asta».

Chissà se anche Santoro se ne sia convinto.

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