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APPELLO AL MINISTRO BRAY
SALVIAMO METAPONTO
di LUCIA SERINO
E’ la seconda volta in due anni che pubblichiamo le foto dell’area archeologica di Metaponto immersa nell’acqua. La nostra storia, la nostra memoria, la nostra eredità, quello che ci fa essere diversi da un tedesco, da uno svizzero, da uno svedese, affonda nella melma della nostra incuria. E’ davvero impressionante il silenzio di questi giorni dopo l’alluvione che ha portato morte, danni alle aziende, dispersione, dolore. E suona come una beffa quell’annuncio di tre milioni pronti da parte dell’assessore Benedetto. Ricordo benissimo per quanti mesi gli agricoltori, gli imprenditori, i sindaci del Metapontino hanno protestato per avere i risarcimenti della passata catastrofe. E quanti, l’altro giorno, al vertice col prefetto, hanno ricordato che aspettano ancora, che non ce la fanno, che – soprattutto – si sentono soli. Non è una gara a chi ha più bisogno. Ma la politica, nella regione che candida Matera a capitale europea, non può non avere come co-priorità la salvezza della sua indentità culturale e storica. Questo alluvione beffardo è la metafora di questi giorni che sta attraversando la Basilicata, travolta dall’insipienza di una politica che non è riuscita a programmare nulla che servisse a mettere al riparo questa straordinaria ricchezza magnogreca da disastri sicuramente prevedibili. Mai tant’acqua è venuta giù, ci dicono. E due anni fa? Ringrazio Salvatore Russillo per l’appello che qui pubblichiamo. Ricorda – e io con lui – la grande mobilitazione che il Quotidiano della Calabria riuscì a fare per l’area archeologica di Sibari finita nella melma come Metaponto. Il grande cuore dei calabresi, l’orgoglio di molti intellettuali, lo scatto delle intelligenze più vive seppe fare rete e pressione. L’allora ministro Barca si precipitò a Sibari. Viaggiava da un posto all’altro, fece molto per Pompei, non disdegnò l’ultima striscia del Paese garantendole e mantenendo impegno su progetti e tutela. Il minsitro Bray è stato a Matera solo qualche settimana fa. A lui rivolgiamo lo stesso appello. Ma soprattutto lo rivolgiamo ai tanti lucani che ancora sanno sentire un briciolo di passione e dolore per ciò che gli viene tolto. Quella alluvionata è una zona da sempre esposta ai disastri. Ma i greci seppero fare bene e a lungo. Non che all’epoca non ci fossero guerre. Di sicuro l’alba di una battaglia era più nobile di quella che azzanna i miseri figuranti della nostra politica. Quando abbiamo pubblicato nei dettagli tutta la programmazione delle opere prevista dal memorandum, una cosa mi colpì: la mancanza di una sintesi, di un’idea prima, di un percorso di sistema. Abbiamo fame, di questi tempi. E il panico del futuro ci rende tutti più egoisti e maldestri. Ma i luoghi sono importanti, sono la nostra grande casa, sono i ricordi della nostra vita, le foto che trasmettiamo ai nostri figli. L’acqua venuta giù si è mischiata agli ingorghi sedimentati della nostra strafottenza rispetto a quello che di più prezioso abbiamo, il nostro ambiente, i nostri fiumi. Dobbiamo mettere un argine altrimenti non saremmo diversi da quei mafiosi delle navi dei veleni che intercettati furono sorpresi a ridere: e il mare? E chi se ne fotte del mare. 

È la seconda volta in due anni che pubblichiamo le foto dell’area archeologica di Metaponto immersa nell’acqua. 

 

La nostra storia, la nostra memoria, la nostra eredità, quello che ci fa essere diversi da un tedesco, da uno svizzero, da uno svedese, affonda nella melma della nostra incuria. È davvero impressionante il silenzio di questi giorni dopo l’alluvione che ha portato morte, danni alle aziende, dispersione, dolore. 

E suona come una beffa quell’annuncio di tre milioni pronti da parte dell’assessore Benedetto. Ricordo benissimo per quanti mesi gli agricoltori, gli imprenditori, i sindaci del Metapontino hanno protestato per avere i risarcimenti della passata catastrofe. E quanti, l’altro giorno, al vertice col prefetto, hanno ricordato che aspettano ancora, che non ce la fanno, che – soprattutto – si sentono soli. 

Non è una gara a chi ha più bisogno. Ma la politica, nella regione che candida Matera a capitale europea, non può non avere come co-priorità la salvezza della sua indentità culturale e storica. Questo alluvione beffardo è la metafora di questi giorni che sta attraversando la Basilicata, travolta dall’insipienza di una politica che non è riuscita a programmare nulla che servisse a mettere al riparo questa straordinaria ricchezza magnogreca da disastri sicuramente prevedibili. Mai tant’acqua è venuta giù, ci dicono. E due anni fa? 

Ringrazio Salvatore Russillo per l’appello che qui pubblichiamo. Ricorda – e io con lui – la grande mobilitazione che il Quotidiano della Calabria riuscì a fare per l’area archeologica di Sibari finita nella melma come Metaponto. Il grande cuore dei calabresi, l’orgoglio di molti intellettuali, lo scatto delle intelligenze più vive seppe fare rete e pressione. L’allora ministro Barca si precipitò a Sibari. Viaggiava da un posto all’altro, fece molto per Pompei, non disdegnò l’ultima striscia del Paese garantendole e mantenendo impegno su progetti e tutela. 

Il ministro Bray è stato a Matera solo qualche settimana fa. A lui rivolgiamo lo stesso appello. Ma soprattutto lo rivolgiamo ai tanti lucani che ancora sanno sentire un briciolo di passione e dolore per ciò che gli viene tolto. 

Quella alluvionata è una zona da sempre esposta ai disastri. Ma i greci seppero fare bene e a lungo. Non che all’epoca non ci fossero guerre. Di sicuro l’alba di una battaglia era più nobile di quella che azzanna i miseri figuranti della nostra politica. Quando abbiamo pubblicato nei dettagli tutta la programmazione delle opere prevista dal memorandum, una cosa mi colpì: la mancanza di una sintesi, di un’idea prima, di un percorso di sistema. Abbiamo fame, di questi tempi. E il panico del futuro ci rende tutti più egoisti e maldestri. 

Ma i luoghi sono importanti, sono la nostra grande casa, sono i ricordi della nostra vita, le foto che trasmettiamo ai nostri figli. L’acqua venuta giù si è mischiata agli ingorghi sedimentati della nostra strafottenza rispetto a quello che di più prezioso abbiamo, il nostro ambiente, i nostri fiumi. Dobbiamo mettere un argine altrimenti non saremmo diversi da quei mafiosi delle navi dei veleni che intercettati furono sorpresi a ridere: e il mare? E chi se ne fotte del mare. 

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